A ogni caffè il suo menu

È tempo per i ristoratori di farsi una cultura sul caffè, dai nuovi metodi di estrazione agli speciality

 

A piccoli passi, in Italia si sta prendendo coscienza della complessità e della ricchezza di varietà, gusti, aromi e lavorazioni che fanno capo alla generica voce “caffè”, un prodotto che per molti operatori e per il consumatore finale è una “miniera” tutta da scoprire.  Nonostante ciò, le ricerche di mercato dicono che il cliente ha le idee molto chiare su quanto beve al ristorante, che giudica per lo più di cattiva qualità: spesso esce dal locale con un aroma che persiste a lungo, ma che non dà piacere e vanifica la bontà di un pasto in una cattiva tazzina.

«Dopo un pranzo o una cena in un ristorante gourmet mi è capitato di far notare la scarsa qualità del caffè; la risposta che ho ricevuto è che si tratta di un prodotto complesso, per il quale è non è facile mantenere standard qualitativi alti, soprattutto a fronte di consumi limitati - afferma Andrea Matarangolo, trainer barista e responsabile qualità di Mondi Caffè (nella foto in apertura, nell'atto di preparare un caffè filtro) -.  Penso che il problema nasca dal “modello” che ognuno di noi ha in mente, quello del bar, dove i consumi sono più elevati. Il ristorante si deve organizzare con prodotti e tecnologie adatti ai propri consumi e in base alla qualità della sua offerta, che deve emergere quando si beve un caffè buono e diverso dalla classica miscela del bar, in sintonia con una cucina raffinata e ricercata».
Ma come coniugare piccoli consumi e alta qualità? Un primo consiglio è di parametrare le confezioni ai caffè erogati: se si è nell’ordine dei 20-30 coperti o meno, meglio scegliere quelle da 250 grammi, per lavorare un prodotto sempre fresco, purché trattato con le dovute attenzioni. È bene infatti ricordare che, una volta tostato, il caffè è fortemente igroscopico, assorbe umidità, che insieme all’ossigeno e alla luce è tra i fattori che concorrono a degradarlo rapidamente, dando il via a un processo di invecchiamento e irrancidimento che il calore accelera. Questi fenomeni si verificano anche all’interno delle apparecchiature, soprattutto della macchina espresso, che deve essere pulita ogni giorno; ogni 2-3 giorni il macinacaffè. Inutile comprare macchine troppo grandi: per pochi coperti è sufficiente una macchina a un gruppo, che consuma meno ed è di rapida manutenzione. Alcuni locali ricercano macchine vintage, che arredano e sono piacevoli alla vista. Anche in questo settore la tecnologia si è evoluta, permettendo la regolazione della temperatura dell’acqua, erogazioni più precise e variazioni sui parametri di estrazione; se in cucina le apparecchiature sono all’avanguardia, perché trascurarle nella zona bar?
Da considerare è l’uso di macinini on demand di piccole dimensioni, con tramogge (la campana) da mezzo chilo e anche meno. Non trattengono il macinato nel dosatore (dove il prodotto perde l’aroma in pochi minuti), ma macinano al momento la dose singola o doppia e la erogano nel filtro in pochi secondi. Nel contenitore superiore è bene versare il prodotto che si prevede di consumare al pasto, concluso il quale andrà riposto in un contenitore ermetico o sottovuoto, in una zona fresca e non umida e con poca luce; meglio non riporlo in frigorifero: il caffè non ama gli shock termici.
«Un’altra soluzione - riprende Matarangolo - sono le cialde e le capsule che, essendo confezionate singolarmente, si mantengono a lungo senza risentire dell’azione dell’aria e danno un prodotto in tazza buono. Ma se il locale vanta la massima attenzione per ogni ingrediente che lo chef elabora, la stessa cosa deve avvenire con il caffè, da preparare con analoga cura e che lo chef stesso e non il gestore dovrebbe scegliere. Se poi offre un prodotto mono origine o uno specialty, dalla lavorazione e caratteristiche organolettiche particolari, queste vanno segnalate in menu e raccontate al cliente, affinché sappia di gustare un caffè diverso, facendo la sua scelta (suggerisco almeno un paio di opzioni) con criterio. In apparenza è tutto complesso, ma si tratta di vincere l’inerzia e applicarsi con convinzione: gli ospiti riconosceranno la marcia in più del locale».

Sin qui si è parlato di espresso, ma come ogni ingrediente anche il caffè può essere lavorato in diversi modi, con risultati di gusto, corpo e quantità in tazza molto differenti tra loro.
Si spazia da classici italiani quali la napoletana e la moka per arrivare ai metodi a filtro, i coreografici chemex e cold brew, la french press o l’innovativo aeropress. Certo, vanno spiegati (difficilmente il cliente conosce i metodi a percolazione), ma possono offrire esperienze piacevoli. Come quella di lasciare all’ospite il gusto di versarsi il caffè da una moka ben pulita o dall’elegante chemex (una sorta di decanter in cui si prepara un caffè filtro), o di vedersi portare al tavolo il cilindro del french press con il cronometro che segnala quando premere lo stantuffo per poi passare il prodotto in tazza. Su un carrellino, al tavolo, si possono realizzare un siphon o un’erogazione filtro, molto coreografici. Prima della macinatura si possono mostrare i chicchi e, una volta ridotti in polvere, si può far girare il contenitore tra i commensali, invitandoli a cogliere l’aroma, per poi procedere all’estrazione.

Un caffè lungo a fine cena

I caffè realizzati con metodi a filtro (V60, chemex, cold brew ecc.) o a infusione (french press) sono particolarmente indicati per un fine pasto. Eccone alcuni.

Chemex (nella foto sotto). “Decanter” in vetro soffiato che può essere afferrato grazie a una presa in materiale isolante. Sulla parte superiore si inserisce il filtro: per due tazze mug si versano 26-28 g di macinato e, in più riprese, 410 ml di acqua tra 92 e 96°C. L’acqua percola lentamente e in 2,5-3,5 minuti si ha una tazza aromatica.

chemex

French press (nella foto sotto). Una struttura per lo più di metallo contiene un bricco cilindrico e un coperchio con un meccanismo a pistone. Si mette nel bricco il macinato (14 -16 g per 200 ml), si versa l’acqua calda a 92-94°C, si mescola e si copre con lo stantuffo-filtro per 3-4 minuti; dopo di che si pressa. La bevanda è pronta per essere servita, leggera e aromatica.

french press
Cold brew (sotto). Il contenitore superiore contiene ghiaccio o acqua fredda, che gocciola sul caffè (70 g di macinato in modo grossolano per 8 bicchieri da 120 ml), 1 goccia ogni secondo, per circa 8 ore. È un metodo che dona al caffè corpo e aromaticità.

cold_brew

Vacuum (siphon). È composto due ampolle sovrapposte. Arrivando all’ebollizione, l’acqua risale alla superiore, quindi decanta, attraversando un pannello di caffè in polvere (16-20 g macinato per 2 tazze da 150 ml) e torna nel primo contenitore sotto forma di caffè.

siphon

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