Alma e l’attualità della cucina italiana

Un recente libro curato dalla scuola internazionale di cucina italiana di Colorno ci dà l’occasione per fare il punto sui concetti chiave della cucina italiana contemporanea. Interpretati anche attraverso le ricette realizzate da importanti chef

Dare una definizione della cucina italiana appare quanto mai una materia difficile e sfuggente. Diversamente dalla cucina francese - su cui hanno filosofeggiato e scritto già a partire dal '700 autori come Carème, Brillat-Savarin, Escoffier, Pellaprat - il nostro patrimonio gastronomico appare un campo ancora oggi caratterizzato dal regionalismo, se non addirittura dal campanile, che trova le sue origini nella cucina di casa.

Niente di male in tutto questo, anzi. L'estrema varietà delle ricette, le differenti tradizioni gastronomiche, la radicata memoria di piatti che sono ormai diventati patrimonio collettivo costituiscono proprio alcuni dei fattori vincenti della cucina italiana.
Nonostante questo, passti 120 anni dalla prima codificazione delle nostre ricette a cura di Pellegrino Artusi, era forse ora di fare il punto sull'argomento. Perchè il vento di rinnovamento della nouvelle Cuisine, la lezione della cuicina spagnola, le tenciche della gastronomia molecolare non sono passati inutilmente accanto alle nostre paste e fagioli, risotti e tiramisù. E, in casa come sulle tavole dei ristoranti, niente è più come venti o anche solo dieci anni fa.
A cercare di inquadrare la materia ci ha pensato un nuovo e avvincente libro: "Gusto italiano - Cucina contemporanea dei maestri Alma".
Grazie all'approfondita introduzione curata da Andrea Sinigaglia (executive manager di Alma), al "dialogo in cucina" tra Gualtiero Marchesi e Massimo Montanari (docente universitario di storia dell'alimentazione) e attraverso le 340 ricette presentate nel volume, firmate da 78 tra i più importanti cuochi dell'alta cucina italiana, si possono mettere in luce i concetti chiave che oggi sottendono al concetto della moderna cucina italiana. Con l'avallo di Alma li abbiamo messi a fuoco per brevi punti.

Alta Cucina

Crisi permettendo, abbiamo superato il problema di sfamarci. Così il momento del consumo del cibo assume significati ulteriori: nascono idee che fanno pensare, che possono provocare e innovare, che impediscono di annoiarsi a tavola e che rendono molto più interessante il cibo. L’alta cucina, come il design, parte da una ricerca; il suo risultato è la capacità di esprimere contemporaneità. È come una lingua, in continuo divenire. A una condizione: che sia buona.

Avventore

Il cliente di oggi è decisamente più evoluto di 30 anni fa e la fascia di coloro che comprendono o che hanno voglia di sperimentare è ampia. E non solo quando si trovano a contatto con l’alta cucina, ma anche nella quotidianità. Attenzione a non sottovalutarli.

Bello&Buono

Citando Marchesi, “il bello vero è il vero buono”. L’estetica e la cura che un cuoco mette nel presentare un piatto sono un riflesso della stessa attenzione necessaria per realizzarlo.

Comunicare

Il cuoco prepara il piatto, ma dovrebbe anche saperlo comunicare. Oggi le persone, oltre a mangiare bene, amano ascoltare la storia, l’origine, l’idea che c’è dietro a una ricetta. Un valore aggiunto che stimola un’operazione di memoria gastronomica.

Cottura o non-cottura

La scelta del cuoco di cuocere (e con quale metodo) o non cuocere del tutto può essere una via per cambiare la natura degli elementi di una ricetta e portare a nuove rivelazioni sulle loro potenzialità gastronomiche. Le infinite combinazioni possibili sono in grado di aprire nuove frontiere del gusto.

Eleganza

Denominatore comune dei migliori cuochi italiani oggi è il minimalismo ovvero un lavoro di “sottrazione” che punta all’essenzialità delle ricette e ai sapori netti, specie quando si tratta di sapori della tradizione: cioè togliere il superfluo e mantenere “l’anima” del piatto. Un piatto di spaghetti al pomodoro, preparati con i crismi dell’alta cucina, potrebbe esserne il simbolo.

Fedeltà allo scopo

Se è pur vero che degustare il cibo oggi ha il valore di un’esperienza emozionale, questo non deve portare a tradirne lo scopo
originario. Un piatto va certo compreso, ma sempre innanzi tutto va mangiato e di conseguenza deve essere fedele alla sua utilità. E quindi deve essere prima di tutto buono. Progettarne il sapore dovrebbe venire prima delle “architetture” e dell’estetica.

Fusion

Assimilare tecniche o prodotti da altre culture gastronomiche per lavorare un prodotto nostrano è un fenomeno interessante e può consentire un’evoluzione della cucina italiana, che ha una forza e uno spessore culturale che consente di arricchirsi grazie a questo scambio, senza perdere la propria identità. Anche se questo rende più labili i confini dell’italianità della cucina.

Geometria

Nel piatto l’uso sapiente della geometria sottolinea la forma naturale di un elemento o può conferirne una a ingredienti che per natura non l’avrebbero. Il tutto contribuisce all’armonia e all’eleganza della preparazione, il che influisce non poco sul giudizio di chi si accosta al cibo.

Innovazione e invenzione

Inventare un piatto indica l’elaborare una novità, dettare (a volte inseguire) una moda. Innovare significa che questa invenzione si è consolidata, è diventata patrimonio comune e, quindi, tradizione. In cucina le novità sono molte, le vere innovazioni poche.

Libertà di espressione

La cucina italiana oggi è estremamente libe- ra di esprimersi, forse a causa della mancanza di un “codice”. Un vantaggio per i cuochi che, se ferrati nella conoscenza di tecniche e ingredienti, possono sentirsi liberi di improvvisare in base alle proprie intuizioni.

Materia prima

Il rispetto della materia prima è un aspetto fondamentale per la migliore ristorazione italiana, fino al punto che molti chef diventano produttori in proprio o promotori e clienti esclusivi di piccoli coltivatori e allevatori. Un rispetto legato non solo alle scelte d’acquisto, ma che si esplicita anche nel come il cibo viene tagliato, preparato, cucinato, conservato, disposto nel piatto e valorizzato nel menù.

Memoria del cibo

Secondo Marchesi “la cucina non è fatta solo di sapori, ma anche di memoria”. Le persone apprezzano quando mangiano qualcosa che è stato modernizzato e ritrovano sapori conosciuti. Se manca del tutto una rispondenza nella nostra memoria culinaria è difficile ricordare un piatto, anche se buono. Per questo è utile affondare le radici nella storia gastronomica e attualizzarla, ma il presupposto è conoscere a fondo prodotti e tradizione.

Menù

Se correttamente stilato, anche da un punto di vista grammaticale, è lo strumento che aiuta a introdurre l'avventore all'esperienza del cibo. Un menù ben concepito deve stimolare il palato e a questo scopo, in una scala di intensità di sapori, sono da tenere presente i contrasti di gusto e temperature fra un piatto e l’altro, alternanza in cui è utile non ripetersi usando in più ricette la stessa tecnica di cottura o lo stesso prodotto, così come non si dovrebbero ripetere carni del medesimo tipo e colore, a meno che si tratti di un menù a tema.

Preconcetti

Astice e rigaglie, caffè sul risotto, fiori sulla pasta, dolce col salato sono tabù superati. Il cliente è diventato più disponibile a provare gusti e abbinamenti inusuali. Una sorta di anarchia gastronomica che ha consentito di abbattere preconcetti gastronomici e mettere l’insalata russa in un guscio dolce/salato o di mutare la seppia in un “cappuccino”. E farli diventare un “classico”.

Prodotti “poveri”

Il valore di un piatto non sta nel lusso delle materie prime, ma nella maggiore o minore capacità di trattarle e abbinarle. Tagli di carne meno consueti, frattaglie, ingredienti della tradizione povera sono un grande banco di prova per il cuoco di genio.

Ricetta

Secondo Gualtiero Marchesi, in una ricetta ben riuscita tre sono le cose importanti: il prodotto, la qualità, l’esecuzione. Ma alla base ci deve essere un’idea, una logica, una conoscenza delle tecniche fondamentali.

Rispetto

Nell’ottica di esaltare le specificità di un ingrediente, se è possibile forma, dimensione e colore andrebbero preservati o richiamati. La specificità della cucina italiana sta anche nel mettere in primo piano le caratteristiche di un ingrediente, con un cuoco che sa “farsi da parte” quando è la grande materia prima a esprimersi.

Salubrità

L’attenzione al benessere di cui gli alimenti sono portatori dovrebbe essere un valore portante per il professionista. Questo significa conoscere come trattare le materie prime per preservarne gli elementi nutritivi. Ma il cuoco non è un nutrizionista: al ristorante si va per godere di un buon piatto e l’avventore non perdonerebbe un piatto troppo punitivo in un momento di festa.

Territorio

In cucina il regionalismo è un valore, purché non sia un limite. Dove risiede l’essenza gastronomica di un territorio? Non solo nei prodotti legati a quella terra, ma anche nei cuochi che in quel luogo sono nati, vissuti e formati; nelle tecniche di cucina utilizzate nella zona; nelle ricette riconducibili alle tradizioni del posto. Ma tutto questo oggi è in costante movimento, in un continuo scambio tra territori e microclimi. I prodotti locali si trovano ovunque, cuochi del nord vanno al sud e viceversa e portano i propri prodotti ed esperienze, in un costante confronto e stimolo con tecniche e sapori di “altri”. La cucina del territorio è un punto di partenza, lo “zoccolo duro” su cui s’innesta una grande cucina nazionale.
Tradizione
La cucina italiana affonda le sue radici in una lunga tradizione, che si è sviluppata ben prima dell’unità nazionale, ma che necessa- riamente va attualizzata. Come insegna Massimo Montanari, in ambito gastronomico si può dire che la tradizione è un’invenzione ben riuscita. In altre parole, c’è tradizione quando l’invenzione di un singolo diventa patrimonio collettivo, cosa che accade quando un’innovazione è anche valida dal punto di vista economico, della redditività.

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