Birrifici artigianali sotto la lente

Presentato a Rimini Fiera il primo rapporto Altis-Unionbirrai sulla realtà delle microbirrerie italiane, strette tra dimensioni economiche ridotte e la ricerca di specialità spettacolo. Ma anche con proposte di eccellenza che raccolgono premi internazionali

Sono cresciuti negli ultimi anni in modo tumultuoso, a volte caotico, basandosi più sull’entusiasmo che sulla razionalità. Grazie al recente Rapporto 2011 dell’Osservatorio Altis-Unionbirrai, possiamo ora valutare anche in termini numerici le tendenze che si muovono all’interno del mondo delle microbirrerie.
Presentata al recente Salone Sapore di Rimini Fiera, l’indagine è stata svolta da Altis, Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica di Milano (ricercatore Benedetto Cannatelli, direttore Matteo Pedrini), in collaborazione con Unionbirrai, l’associazione culturale che raduna gran parte delle microbirrerie italiane.
La ricerca è liberamente scaricabile in versione pdf dal sito unionbirrai.it

Aziende frammentate

Prima iniziativa scientifica tesa a fotografare l’attuale situazione del settore, il report si basa su questionari, composti da 59 domande, distribuiti l’anno scorso a 335 realtà aziendali, suddivise in birrifici (75%) e brewpub, con una redemption di 94 risposte (28%).

Le domande hanno riguardato argomenti come produzione, fatturato, numero e tipologie di birre, confezioni, materie prime, investimenti. Una ricerca che dà lo spunto per una serie di considerazioni sul settore confortate dai numeri.

In totale sono 137.680 gli ettolitri prodotti, che costituiscono poco più dell’1% della produzione industriale nazionale. Molto bassa la media produttiva per azienda (411 hl) se confrontata con il limite di 10mila hl stabilita da Unionbirrai per definirsi “microbirreria”.
Per fare un paragone, in Usa si è “microbreweries” se non si
superano il 17.600 hl, per un totale produttivo dieci volte superiore.

Aumentano ettolitri e aziende produttrici, scarse le risorse
Da tener conto che la realtà produttiva industriale più “piccola” di Assobirra titola 250mila hl. Le regioni con più microbirrifici sono Lombardia e Piemonte con 53 e 46 aziende, quasi il 30% del totale nazionale. Più della metà non ha a libro paga dipendenti, mentre solo il 4,28% dispone di più di 4 operatori.
Anche per quanto riguarda il fatturato, si conferma la grande frammentazione delle microbirrerie: circa un quarto non arriva a 20mila euro all’anno, mentre la fascia alta più efficiente (oltre 800mila euro) riguarda solo il 4,60% dei produttori.
Per quanto riguarda gli investimenti, sono concentrati per metà negli impianti per cottura e confezionamento, mentre le attività di comunicazione e marketing sono confinate al 7,69%.
Il principale motivo poi che impedisce di realizzare dei veri prodotti nazionali è la scarsa disponibilità di materie prime italiane, dal malto d’orzo (solo 5,71%), ai lieviti (15,71%), al luppolo (1,43%).

Tipologie estreme

Per quanto riguarda le tipologie prodotte, si assiste a una esagerata e velleitaria moltiplicazione di proposte (oltre il 30,85% delle microbirrerie offre più di 10 alternative in catalogo), alla ricerca della birra sempre più estrema per sollecitare curiosità e richieste. E spesso sono solo one shot che durano pochissimo. Per non parlare del movimento che spinge la diffusione delle nanoproduzioni di “birre agricole”, alla ricerca di sgravi (ed elusioni) fiscali.
Un trend questo confermato dallo scarso sucesso di iniziative unificanti, tanto per l’impiego di una bottiglia comune a tutte le birre artigianali quanto per l’adozione di una ricetta per una birra “nazionale” (tipo Open di Baladin).

Contaminazioni molto intriganti con l’enologia

Viceversa sono particolarmente interessanti (e piacciono) le proposte birrarie
che utilizzano lieviti di origine enologica che donano al prodotto un ventaglio aromatico originale e intrigante. Tanto che sono sempre più spesso oggetto di riconoscimento nei concorsi birrari internazionali come l’European Beer Star. Per quanto riguarda le confezioni, più di un birrificio su cinque propone solo bottiglie, spesso da 75 cl, escludendosi quindi automaticamente dal mercato della spina, particolarmente importante per sviluppare volumi di vendita.

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