Il fritto freddo è un peccato mortale, ma la temperatura sbagliata non è mai veniale

temperatura

Sbagliare è umano, servire freddo un piatto che dovrebbe essere caldo, no. Nell’etica della ristorazione, il peccato di lesa temperatura è grave e non viene mai perdonato perché è vissuto come una mancanza di rispetto, quasi un’offesa personale. Specialmente se il cliente è entrato nel ristorante proprio perché aveva voglia di un piatto che non può essere che caldo, per esempio un bel fritto di pesce oppure, ça va sans dire, di pasta, un brodo, una minestra o un risotto.
Un piatto si raffredda per più cause. Può uscire perfetto dalla cucina e languire a causa di un trasferimento al tavolo troppo lento fino. Oppure può già nascere mezzo caldo e mezzo freddo, come succede alla pasta appena scolata e condita con un sugo non adeguatamente riscaldato. A volte è lo stesso alimento a presentare al suo interno più fasce termiche distanti tra loro anche decine di gradi. Esempio: la fiorentina servita con la superficie fumante e il cuore a temperatura troppo bassa perché è stata catapultata dal frigo alla griglia senza prima essere stata portata a temperatura ambiente. Lo stesso può accadere a lasagne, timballi, sformati, ecc. Nell'ultimo decennio, sempre più spesso il piatto si raffredda a causa del tempo necessario a eseguire un esagerato food design: comporre, scomporre, ricomporre, verticalizzare, inclinare, infiorare, spruzzare, sifonare, spesso smanazzare senza un'oggettiva necessità. L’occhio godrà ma il palato soffrirà.

Cara ristoratrice, caro ristoratore, se tua madre/moglie/marito o i tuoi amici ti servono un piatto di spaghetti al pomodoro freddi, pensi tutto questo gran bene della loro cucina? Figurati cosa può pensare il tuo cliente ristorante che spende per quel piatto molto più che a casa e paga anche il servizio. Il probelma non è di qielli facili ma va risolto, anche con l'aiuto della tecnologia che aiuta con gli armadi scaldapiatti capaci di contenere fino a un centinaio di piatti e di scaldarli fino a 90°C.

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