La pizza nel ristorante medio-alto: un’aliena o una proposta plausibile?

pizza

Introdurre la pizza anche nei ristoranti di livello medio-alto per incrementare il lavoro è uno stratagemma onesto, semplice e trasparente. Com’è noto, Carlo Cracco l’ha già fatto ma non tutti hanno il suo nome che gli permette di osare quello che vuole. Per gli altri ci vuole coraggio, vediamo perché.
La pizza è buona, allegra, ha una forte tradizione ed è un prodotto made in Italy conosciuto nel mondo intero. È un piatto unico, il più amato della cucina italiana e il più economico, capace di far trascorre una serata fuori con una spesa contenuta. Tra tanti pregi, un solo difetto ma talmente pregiudizievole da convincere molti ristoratori a lasciarla fuori dal loro menu: comporta il rischio di vedere affibbiare al proprio locale l’etichetta di ristopizza, un tipo di ristorante che, secondo l’opinione comune, non può mai essere di buon livello. Lo so che è un pregiudizio ma bisogna farci i conti.
In realtà la ristopizzeria è un ibrido derivato dall’unione di due locali molto diversi. Prodotto dagli esiti della rivoluzione francese, il ristorante è - e sempre rimarrà - un concept creato dalla borghesia e ad essa destinato. Al contrario, la pizzeria è nata popolo, nel perimetro domestico dei bassi napoletani, con lo scopo di fornire un tetto, una sedia e un tavolo ai consumatori di un cibo da strada. Molte ristopizzerie hanno due sale con  diversi arredi, apparecchiature e servizio, una più chic e l’altra più pop, quasi a ribadire la distanza socioeconomica tra i due luoghi, come la prima e la seconda classe dei treni.
Sono anime entrambe forti ma profondamente differenti, e se convivono può accadere che si penalizzano l’una con l’altra. Non a caso la solita “opinione comune” giura che la pizza migliore si faccia nelle pizzerie “pure”.

La soluzione? Che ciascun locale accolga alcuni piatti dell’altro senza prendere l’intero pacchetto. Come molte pizzerie preparano un paio di primi e secondi senza per questo diventare ristoranti, così molti ristoranti, anche di rango, potrebbero ospitare solo qualche pizza e non tutta la pizzeria.

Ma come deve essere la pizza “da ristorante”? Anzitutto deve essere fatta da un pizzaiolo bravissimo e agli ordini dello chef. Nel menu devono comparire le tre classiche napoletane: margherita, marinara (senza i frutti di mare) e quattro stagioni, possono esserci anche il calzone e la romana sottile e croccante, ma basta così! Le decine di varianti fantasiose vanno lasciate alle pizzerie. Invece devono esserci una o due pizze gourmet, realizzate insieme allo chef, che facciano ricordare al cliente dove si trova.

Le materie prime devono essere di altissima qualità, le farine pregiate, il lievito naturale. Il forno a legna può anche rimanere nascosto in cucina. Se è a vista, deve inserito nell’ambiente in versione “design” dal tocco miracoloso di un architetto di interni.

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