Da grande voglio fare lo chef

“Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”. Siano esse di natura economica, estetica o etica. Parola di Henri Poincaré, matematico. Tra le tante definizioni segnalate da Wikipedia ho scelto quella che meglio si adatta all’atto creativo di uno chef.  A spiegarne l’utilità provvede la ricerca di Jfc, che pubblichiamo in anteprima questo mese, che ci dà la misura di quanto la creatività di un cuoco “ripaghi”. Dati alla mano l’ottenimento della prima stella determina una crescita di fatturato a due cifre. Ci sono poi i benefici indotti, legati all’incremento delle attività extra-ristorante (es.: eventi con cachet arrivano ai 32mila euro), e al valore che un ristorante stellato apporta al territorio: in media, un cliente su quattro alloggia una notte sul posto.
Penso al “peso” di Antonia Klugmann dell’Argine in provincia di Gorizia (una sua creazione fa mostra di sé in copertina), o a quello di Giuliano Baldassarri dell’Aqua Crua di Barbarano Vicentino, nei Colli Berici. Sono alcuni degli straordinari creativi di cui raccontiamo le gesta. Senza contare l’impulso che la cucina creativa può dare alle piccole produzioni locali: grani antichi, verdure e legumi dimenticati, riportati in vita da piccoli coltivatori. Non a caso la riscoperta delle antiche eccellenze è uno dei quattro trend individuati dall’inchiesta di questo mese, dedicata alle direzioni di lavoro che la ristorazione seguirà nei prossimi anni. Leggete i racconti di Giuseppe Costa e Carlo Meo sull’antico che funziona e quelli di Matias Perdomo sulla nuova coscienza globale. O ancora: le riflessioni di Raffaele Ros sulla salubrità dei piatti e quelle di Denny Imbroisi su una ritrovata cultura degli avanzi. All’insegna, ça va sans dire, della creatività.

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