Salmone, principe “esotico” in cucina

Lessato, al forno o anche solo saltato in padella. Piace comunque lo si prepari. E piace soprattutto crudo, in carpaccio o tartare

Nel nostro Paese il salmone fresco è in commercio solo da una trentina d’anni (prima c’era solo in versione affumicata o in scatola). Davanti a questo nuovo alimento, subito ben accolto dal gusto italiano, la nostra cucina si è comportata in due modi: da una parte l’ha adattato ad alcune nostre ricette: lessato e servito freddo con la maoinese, alla griglia, al forno o in padella. Dall’altra, ha recepito le principali ricette della cucina francese, scandinava e internazionale. E il Giappone? Ci ha dato l’idea di proporlo crudo. Non in sushi né in sashimi, che richiedono profonde conoscenze della tecnica di taglio del pesce e della cottura del riso, ma in preparazioni più semplici e tradizionali come carpacci e tartare.
La freschezza è rivelata dalla compattezza delle carni, che devono essere di colore uniforme e aderenti alla lisca, e delle squame che devono essere brillanti. La parte migliore è quella centrale.
Il salmone che si trova sul nostro mercato proviene quasi tutto dagli allevamenti del nord Europa, mentre il “selvaggio”, più pregiato e di gran lunga preferito dai buongustai, è piuttosto raro. Va però detto che la denominazione “selvaggio” non è univoca dal punto di vista merceologico. Sul nostro mercato possono arrivare fino a sei specie di salmone selvaggio, una dall’Oceano Atlantico (Salmo salar) e cinque dal Pacifico (del genere Oncorhynchus).

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