Il ristorante dei miei sogni…la parola ai giovani chef

Come immaginano il loro locale ideale le nuove generazioni di professionisti? Lo abbiamo chiesto ad alcuni giovani cuochi di talento

La ristorazione vive un momento di rinnovamento: nascono nuovi format, si sviluppano locali fast-good (un esempio di successo sono le hamburgerie gourmet); i ristoratori allungano gli orari e si cerca - tra spazi accoglienti, wi-fi free e quant’altro - di trattenere il cliente, creando ambienti che consentono di lavorare e socializzare. Ancora: se le risorse economiche dell’italiano sono calate e mangiare fuori è vissuto come un lusso, ecco che gli chef stellati affiancano al locale principale il bistrot, più popolare e accessibile; e si moltiplicano i temporary restaurant e i food truck che “inseguono” i consumatori on the go.
Ma le nuove generazioni di professionisti come immaginano il loro locale? Lo abbiamo chiesto ad alcuni fra i giovani talenti selezionati da Carlo Cracco quali protagonisti della mostra fotografica “Ambasciatori del gusto” (nell’ex convento dell’Annunciata ad Abbiategrasso).
Se c’è un aspetto condiviso è che la qualità della materia prima è la condizione essenziale a cui il ristoratore non può rinunciare. «Le soluzioni facili non ripagano - dice Luca Sacchi, sous chef del ristorante Cracco -, bisogna tornare a far comprendere la differenza anche su una semplice insalata. In troppi pensano che per gestire un ristorante basti avere un bel posto e del vasellame chic». E se il pubblico si lascia affascinare dal “chilometro zero”, il professionista la vede con occhi più realistici, come spiega Sara Preceruti: «Biologico e km zero sono assi vincenti solo se le verdure sono del mio orto, altrimenti il parametro di scelta non è la distanza ma la qualità del prodotto. Il km zero non deve essere un limite».
Ciò non significa rinnegare il territorio che resta, con la tradizione, un punto chiave; ma rivisto con gli occhi e la tecnologia di oggi, come sottolinea Oliver Piras: «Noi ci siamo focalizzati su ricette di tutto l’arco alpino, puntando ad alleggerire piatti della tradizione. La mia generazione è “figlia” di Adrià e delle sue invenzioni, da usare con buon senso. La cottura a bassa temperatura, ad esempio, va usata con criterio, solo là dove dà effettivi vantaggi».
Dal canto suo, però, Matteo Monfrinotti puntualizza: «Ok a tutta la tecnologia possibile, ma nel mio locale vorrei anche un forno per la cottura al carbone, per sfruttare antichi stili di cottura».
Un altro aspetto su cui tutti concordano riguarda il servizio: pochi fronzoli, ma grande professionalità, con camerieri che si fanno veri portavoce dello chef, come ribadisce Fabiana Scarica: «Nel ristorante l’accoglienza per me deve essere di una “informalità raffinata”, che il personale trasmette solo se è formato, se crede in ciò che fa e se si trova bene nell’ambiente di lavoro». E Paolo Griffa aggiunge: «Il servizio di sala è cruciale per la soddisfazione del cliente, per il procedere snello del lavoro, per comunicare il pensiero gastronomico del cuoco».
Infine l’impostazione della carta: si fa strada un’impostazione libera dal classico schema italiano, come dice Sabrina Tuzi: «Immagino un menu libero dallo schema primo-secondo-contorno, più internazionale. Ma i servizi dovranno essere sempre quelli di pranzo e cena. Non credo nei locali polifunzionali: per me il ristorante deve continuare a essere tale, per non perdere la propria identità».

 

Foto Gianluca Cisternino

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