La conservabilità dei cibi: una questione di metodo

Negli ultimi anni sia i professionisti del settore “food” sia i consumatori hanno iniziato a richiedere al mercato agroalimentare prodotti con una shelf-life (letteralmente “vita da scaffale”, ma che può essere tradotto in “conservabilità”) sempre più lunga.
La conservabilità degli alimenti è la capacità delle materie prime di mantenere le proprie caratteristiche qualitative intrinseche (nutrizionali ed organolettiche) ed estrinseche (aspetto esteriore, odore, consistenza) per un certo periodo di tempo, più o meno lungo.
Se escludiamo i danni fisici e/o meccanici che alterano gli alimenti (come cadute o lesioni), il decadimento qualitativo, ovvero la perdita delle caratteristiche iniziali del prodotto fresco, è legato a due principali cause: le modifiche chimico-fisiche del prodotto a opera di agenti ed enzimi degenerativi e lo sviluppo di microrganismi patogeni e/o alteranti all’interno dell’alimento stesso.
Le modifiche chimico-fisiche sono eventi che provengono direttamente dall’alimento e sono legate soprattutto a tempi e temperature di stoccaggio non corretti. Tali variabili sono anche causa dello sviluppo di microrganismi: questi ultimi, però, sono anche conseguenza di contaminazioni esterne legate, tra gli altri fattori, anche e soprattutto al non rispetto delle buone pratiche igieniche.
Ma come si procede invece a stabilire la conservabilità degli alimenti semilavorati nei pubblici esercizi?
Un “semilavorato” alimentare è un prodotto non ancora pronto al consumo che ha variato il suo stato di conservazione, ad esempio una confezione di materia prima sottovuoto ormai aperta.

Innanzitutto, per garantire la rintracciabilità degli alimenti (come richiesto dal Reg. CE 178/02, nelle aziende di ristorazione collettiva e negli esercizi pubblici è prassi comune lasciare sul semilavorato l’etichetta originaria e apporre un’ulteriore etichetta riconoscitiva riportante la data di lavorazione e/o apertura del prodotto a seconda di quanto definito all’interno delle procedure di sicurezza alimentare.
Ma come si fa a stabilire il tempo di conservazione massimo dei semilavorati in modo oggettivo così da essere sicuri di riuscire a garantire la salubrità degli stessi sino al loro completo smaltimento?
Per i semilavorati la legislazione non fornisce limiti precisi, per questo motivo è compito e responsabilità dell’operatore del settore alimentare definire internamente le tempistiche da rispettare.
Per le tipologie di semilavorati più comuni si può attingere alla letteratura che fornisce dati derivanti da studi già effettuati. Nella tabella in questa pagina sono riportate le corrette temperature e i tempi massimi di conservazione di alcuni semilavorati molto utilizzati nella moderna ristorazione.
Ogni qualvolta, però, siamo di fronte a un semilavorato derivante da una preparazione particolare o strutturata (immaginiamo alimenti ricchi di ingredienti e/o che hanno subito diversi trattamenti e fasi di manipolazione) è cautelativo da parte dell’operatore del settore alimentare procedere a commissionare le analisi di laboratorio atte a stabilirne l’esatta shelf-life.

Come già anticipato, la shelf-life degli ingredienti (sia grezzi sia semilavorati) è influenzata anche dalla carica microbica derivante dalla contaminazione crociata in fase di lavorazione da utensili, attrezzature e manipolazione manuale degli operatori. Ovviamente più il prodotto è soggetto a contaminazioni crociate, più questo si deteriorerà velocemente e potrà essere facile bersaglio di agenti patogeni.
Requisito obbligatorio e imprescindibile diventa, pertanto, la standardizzazione delle lavorazioni all’interno dei locali di produzione/trasformazione degli alimenti attraverso la formazione del personale in merito alle procedure di corretta prassi igienica.

Solo una volta acquisiti i principi che garantiscono l’igiene del personale, lo stato di pulizia delle attrezzature e la riproducibilità della lavorazione sarà utile effettuare le analisi di laboratorio per stimare le shelf-life dei vari prodotti.
In conclusione si può dunque affermare che la standardizzazione delle metodologie di preparazione, assumendo come pre-requisito il mantenimento di condizioni igienico-sanitarie ottimali e la determinazione su base scientifica della shelf-life delle proprie preparazioni alimentari, si traduce in un incremento della qualità gestionale dell’esercizio con diversi vantaggi: la salubrità del prodotto, il miglior utilizzo delle materie prime, la diminuzione degli sprechi, un minor danno economico, migliori tempi di gestione del personale, impiegato per preparazioni che verranno consumate a distanza di diversi giorni.

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