L’Italia fa gola ai giapponesi

I grandi marchi della ristorazione nipponica stanno aprendo in Italia. la loro forza? Capacità d’investimento e format ben delineati

Agli italiani piace la cucina giapponese. Sushi, sashimi e tempura hanno conquistato anche i palati più diffidenti, originando un vero boom di locali, gestiti per lo più da cinesi e italiani, ma solo in pochissimi casi da giapponesi doc.
Oggi, però, gli italiani sono pronti per esplorare nuovi cibi in arrivo dal Sol Levante. La notizia del giorno è che il nostro mercato è diventato appetibile per imprenditori, chef e grandi marchi della ristorazione nipponici.
Toridoll, gigante della ristorazione giapponese con oltre 1.000 locali in Giappone e altri 200 in Asia, Stati Uniti e Australia, ha scelto Londra e Milano come testa di ponte per la propria espansione in Europa. Nel capoluogo lombardo, a febbraio, ha aperto i battenti La Bottega del Ramen. A marzo, sempre a Milano, Toridoll ha aperto Tokyo Table, formula casual incentrata sugli otsumami, gli stuzzichini giapponesi. Perché Toridoll ha scelto di venire in Italia? «Perché per noi giapponesi è il paese della moda, del design e del food. Se una formula di ristorazione ha successo qui, andrà bene anche nel resto d’Europa», spiega Issei Kome, titolare di Italia Fudosan Real Estate, la società che collabora con Toridoll per lo sviluppo. Per quanto riguarda il ramen dice: «Gli italiani hanno la cultura della pasta e capiscono il prodotto meglio di tutti».

A Milano, però, ci sono già diversi locali specializzati in ramen o che offrono specialità giapponesi diverse dal sushi. In che cosa si differenzia l’offerta Toridoll? «Qualità e autenticità. I nostri spaghetti sono preparati in casa ogni giorno e lasciati riposare 24 ore; un cuoco giapponese è da tre mesi in Italia per capire quali sono le ricette più adatte al gusto italiano», racconta Kome. La competizione c’è, ma c’è anche spazio per differenziarsi. La Bottega del Ramen, per esempio, ha in carta il ramen al curry, che ancora nessuno offre in città. Un altro punto di forza di Toridoll è la capacità finanziaria, che ha permesso di acquisire due location di eccellenza in via Vigevano, nel cuore del quartiere dei Navigli, uno dei poli della ristorazione più vivaci in città. Il piano di sviluppo parla di tre locali a Milano entro il 2017, 15 in Italia entro il 2020, 500 in Europa e 2000 nel mondo entro il 2025.
Toridoll non è l’unico grande gruppo di recente arrivato in Italia. Nel 2016, Italia Fudosan ha collaborato alla prima apertura europea, sempre a Milano, di Misoya, una catena giapponese che ha numerosi locali in Giappone, Stati Uniti, Canada e Sud Est Asiatico. Misoya è specializzata nel ramen con brodo di miso, una pasta fermentata importata dal Giappone, che propone nelle varianti di Tokyo, più corposa e speziata, e di Hokkaido, dal gusto più delicato.
A Milano, la “trattoria” Izakaya Sampei e il take away Musubi, sono due format lanciati poco prima prima di Expo da Shintaro Akatsu, a capo di un impero che spazia dal gas alla moda, alla ristorazione. Tra le sue attività vanta anche partnership per lo sviluppo di marchi italiani in Giappone, come le gelaterie Grom e la pizza di Gino Sorbillo. Musubi è pensato per lo sviluppo in franchising e ha due punti vendita a Milano.

Ajisen Ramen, catena giapponese con oltre 700 punti vendita nel mondo, è invece sbarcata all’aeroporto di Fiumicino, dove nel dicembre 2016 ha aperto il primo locale europeo in franchising. Riso e ramen sono i punti chiave dell’offerta, che comprende tutti i tipi di cucina dell’Est asiatico. La preparazione è a vista, realizzata seguendo le ricette tradizionali aggiungendo un tocco di originalità. Rimanendo a Roma, il Ramen Bar Akira è frutto di un’idea di Akira Yoshida, imprenditore giapponese che vive in Italia e che per questo locale ha unito le forze con due soci, Ryusuke Nakamura e Yuki Watanabe, proprietari di diversi ristoranti in Asia.
E ancora, lo chef e imprenditore nipponico Tatsuji Matsubara, con locali a Kyoto, Osaka e Londra, ha unito le forze con l’imprenditore milanese Luigi Sun, titolare di una delle maggiori imprese di commercializzazione di prodotti etnici e la cui famiglia ha alle spalle varie esperienze nella gestione di ristoranti, tra cui il blasonato Zen. Il sodalizio tra Sun e Matsubara si è dapprima concretizzato in occasione di Expo, dove la società Zen Express ha gestito due foodtruck che servivano ramen. Lo straordinario successo - oltre 500 porzioni al giorno - ha convinto i soci ad aprire il ramen bar Ryukishin by Zen Express a Milano. Un secondo format lanciato a febbraio è Tatsu Ramen, formula più easy, pensata per un pubblico giovane e familiare, con un’ambientazione ispirata ai manga. Il fil rouge tra i due concept è la qualità della cucina e l’autenticità dei sapori, su cui veglia Matsubara. Uno dei vantaggi della partnership, sottolinea Sun, è la logistica: per un importatore di prodotti etnici è facile approvvigionarsi di ingredienti particolari, anche in piccole quantità. Oggi, prima di partire con i programmi di sviluppo, i due locali stanno lavorando per rodare e standardizzare le rispettive formule. «Vorremmo riuscire a certificare tutte le procedure», racconta Sun.

In effetti, l’arrivo in Italia di tanti gruppi e marchi stranieri può essere considerata un’eredità di Expo 2015. Un evento che ha dato la possibilità a milioni di visitatori di assaggiare cucine esotiche e apprezzare i nuovi sapori. E a imprenditori provenienti dall’estero di misurare le potenzialità del mercato italiano. «Grazie a Expo, Milano è diventata una destinazione food. Inoltre, molti imprenditori hanno visto che gli italiani amano il cibo giapponese», afferma Issei Kome. Le potenzialità hanno convinto alcuni gruppi giapponesi a entrare in un mercato riconosciuto come appetibile, ma anche difficile. «Il mercato europeo - ammette Kome - è molto frammentato, con gusti, lingue e burocrazie diversi in ogni Paese. Però qui c’è il mercato». «L’Italia è molto attraente - conferma Luigi Sun - ma qui è tutto più complicato, l’interpretazione delle regole è complessa».
Questo spiega, dunque, la presenza costante di partner locali che conoscono bene caratteristiche del mondo della ristorazione italiano, con una burocrazia spesso incomprensibile per chi arriva dall’estero. Così, per esempio, si è cementata in occasione di Expo anche la collaborazione tra Sagami - gruppo di ristorazione giapponese con 270 locali in Asia e che a Expo gestiva un punto vendita nel padiglione nipponico - e la famiglia Morimoto, che da molti anni commercializza in Italia il riso per il sushi e che due anni fa ha aperto a Milano il ristorante Well-Kome. La collaborazione è sfociata nel temporary restaurant Sagami all’interno di Well-Kome. «A Sagami interessava a fare un test del mercato italiano post Expo - dice Morimoto - e a noi ampliare la cultura del cibo giapponese in Italia. La scommessa era proporre la cucina tradizionale giapponese, senza avere in carta sushi, sashimi o ramen». In menu, allora, per tutto il 2017 specialità Sagami, per esempio soba (spaghetti di grano saraceno) e zuppe a base di miso rosso, preparate nelle cucine Well-Kome sotto la guida di un manager giapponese. Il test è andato bene, tanto che dopo i un primo periodo di due mesi, il temporary restaurant è stato riproposto e ora rimarrà attivo per tutto il 2017. Se tutto andrà bene, l’esperienza «Probabilmente sfocerà in un progetto più grande», racconta Sari.

Perché i gruppi giapponesi si interessano all’Italia proprio ora? Secondo Sari, «Perché solo recentemente l’Italia si sta aprendo a una cucina più internazionale. Forse, dopo Expo c’è più apertura mentale. Expo è stato positivo anche per i giapponesi, che da sempre sono interessati all’Italia, ma finora aprire un ristorante etnico qui è stato difficilissimo».
Le stesse motivazioni sono alla base della prossima apertura, probabilmente già a maggio, del primo Wagamama in Italia, frutto di una partnership tra il marchio inglese di cucina orientale e il gruppo italiano Percassi, lo stesso che ha stretto un accordo con Starbucks per aprire i coffee shop in Italia. Perché Wagamama arriva ora in Italia? Perché gli italiani cominciano ad apprezzare cucine e sapori diversi e sono pronti ad accogliere marchi internazionali che hanno conosciuto viaggiando o vivendo all’estero, spiega Brian Johnston, International Managing Director Wagamama. Inoltre, continua, l’Italia è un Paese “foodie-centric” ovvero un mercato di buongustai appetibile per un marchio internazionale.

 

Nella foto: il ristorante Tatsu Ramen, a Milano

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