Parola d’ordine: diventare più produttivi

Osservatorio –

La crisi economica ha ridotto il potere di spesa dei consumatori, ma insieme ha evidenziato il bisogno di ripensare una formula che oggi dà sempre meno margini. E che rischia di essere perdente nei confronti dei nuovi attori interessati al business ristorazione

Formule, orari e, soprattutto, prezzi: non sono certo marginali gli elementi che chi gestisce un ristorante dovrà ripensare in tempi rapidi, per non perdere la battaglia competitiva nei confronti di altri attori interessati al business della ristorazione.
Il campanello d'allarme, che peraltro molti ristoratori sentono già suonare da tempo nella loro attività quotidiana, è stato al centro della tavola rotonda “Quando il gioco si fa duro… vecchi e nuovi attori a caccia del business ristorativo”, che si è tenuta a Rimini Fiera nell'ambito di Rhex.

Un momento di confronto che ha evidenziato alcuni dati.
I consumi alimentari fuori casa hanno più o meno retto, al contrario di quelli domestici, anche perché consumare fuori è diventata per moltissimi italiani un'abitudine indotta dalla necessità prima ancora che dal piacere. Sul piano dei prezzi il ristorante ha mantenuto un trend di crescita, mentre nel retail, tra razionalizzazione della distribuzione e frequente ricorso alla leva promozionale, la spesa per riempire il carrello è fortemente calata (anche se questo processo può attualmente definirsi concluso).

I margini del ristorante sono, però, compressi dalla permanente rigidità del mercato del lavoro, da una parte, e da nuove forme di concorrenza, dall'altra.
«Mentre i consumi alimentari dal 2007 stanno vivendo una caduta senza precedenti - ha sottolineato Daniele Tirelli, presidente di Popai Italia, agenzia specializzata leader nelle ricerche di mercato per il settore della Gdo e il retail del comparto alimentare - il fuori casa ha sostanzialmente tenuto, anche grazie ai mutati stili di vita e di lavoro.
Se confrontiamo il momento attuale con gli anni '70 vediamo che allora i consumi fuori casa valevano il 10% dei consumi totali mentre oggi sono al 40% (ma negli Stati Uniti consumi domestici e consumi fuori casa si equivalgono).
I cambiamenti non sono relativi solo alle abitudini, ma anche alle spese relative. La quota di spesa delle famiglie italiane destinata ai consumi alimentari è scesa, in 42 anni, dal 33% a poco più del 14%».

Contrazione dei consumi, in casa e fuori casa
Alla contrazione del consumo domestico corrisponde una crescita, sia pur rallentata, dei consumi fuori casa. I cui prezzi sono praticamente raddoppiati: sempre negli anni '70 un pranzo al ristorante per quattro persone valeva due carrelli della spesa, oggi, immaginando che la lista della spesa comprenda le stesse voci, corrisponde a quattro carrelli. Questo è frutto anche dell'enorme aumento di produttività vissuto, per un lungo periodo, dal comparto alimentare.
Il problema della ristorazione italiana, ha sottolineato Tirelli, è «che non riesce più a trasferire dei vantaggi dal punto di vista dell'organizzazione del lavoro, perché il cuneo fiscale impedisce a una struttura ristorativa di competere con forme alternative che si stanno affermando sul mercato. Per esempio, guardando sempre al mercato americano, la componente della parte variabile, cioè la mancia, sulla retribuzione del lavoratore del settore ha una rilevanza impensabile in Italia».

Strategie utili
Che cosa può fare, quindi, il ristorante italiano per sopravvivere? Anche qui, osserva Tirelli, può guardare agli esempi che arrivano da contesti più evoluti. «Negli Stati Uniti ci sono formule fantasiose, come quella delle pizzerie Chuck E. Cheese dedicate ai bambini, nelle quali il servizio è funzionale al momento d'intrattenimento. Una nicchia? Non proprio, visto che sul mercato ci sono oltre 540 locali con questa insegna, che impiegano 17.000 addetti. Un esempio più vicino alla nostra esperienza? Il Ristorante 168, “all you can eat” di Milano: cucina a vista, formula self service (ma anche servizio al tavolo per alcune portate), mise en place e pulizia impeccabile, materia prima fresca, quantità a piacere e menù sterminato. Prezzo? 20,90 euro. Non chiedetemi come fanno, perché non lo so, ma il locale è sempre pieno».

Clienti e prezzi

La strada obbligata per la sopravvivenza del ristorante (ma anche del bar) italiano passa attraverso un aumento della produttività. Anche qui il confronto con il mercato americano è schiacciante: là 945mila ristoranti servono 70 miliardi di pasti all'anno, con circa 247 consumazioni al giorno e uno scontrino medio di 8 dollari, da noi 98mila ristoranti servono 1,5 miliardi di pasti, con 60 clienti al giorno e uno scontrino medio di 25 euro.
A loro volta 155mila bar in Italia servono 5 miliardi di consumazioni annue, con 131 clienti al giorno e uno scontrino medio di 5 euro. «In questo contesto - ha aggiunto Tirelli - il retail può diventare un concorrente importante, anche perché controlla la filiera».
Una realtà della distribuzione alimentare che ha già intrapreso con successo questa strada è Sicilconad (mandataria del marchio Conad per diverse province siciliane). Nel centro commerciale di Villaseta, ad Agrigento, ha integrato all'interno della propria piattaforma alimentare un'area ristorazione. Aperta dal 1° novembre 2012, lavora su tre menù a prezzo fisso: primo e secondo a scelta con acqua o bibita a 6,90 euro, pizza margherita con porzione di patatine fritte e acqua o bibita a 4,99 euro, trancio di pizza a scelta con porzione di patatine fritte e acqua o bibita a 2,99 euro.
«I risultati sono soddisfacenti - ha spiegato Mauro Arena, responsabile amministrazione e finanze Sicilconad, - per il fatturato e anche per i margini, molto più alti di quelli cui gli operatori del retail sono abituati. In una domenica tipo serviamo 600 pasti nell'arco della giornata. E questo spiega perché dagli iniziali 55 posti a sedere, attraverso ampliamenti della superficie dedicata, siamo già arrivati a oltre 100».

Gli italiani e il cibo

Coop non ha, invece, al momento attività strutturate nel comparto della ristorazione, pur studiando con grande interesse il fenomeno. Però, ha avvertito il direttore dell'ufficio studi economici Ancc-Coop, Albino Russo: «Non sarei così sicuro che le esperienze degli Stati Uniti possano essere trasferite pari pari in Italia. Il nostro Paese conserva delle caratteristiche anomale nel rapporto con il cibo e anche in questa crisi ha reagito difendendo le sue peculiarità. Quindi, gli italiani hanno ridotto gli acquisti (soprattutto del superfluo) e gli sprechi, a parità di contenuto nutrizionale e calorico hanno privilegiato prodotti più economici (per esempio, il pollo rispetto alla carne rossa), ma non hanno rinunciato a difendere la propria identità di consumatori e la ricerca di qualità. Basta osservare che, nella prima parte del 2012, nonostante le difficoltà economiche, gli acquisti di prodotti biologici nella grande distribuzione sono cresciuti del 10%».

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