Cucine a vista, un vero palcoscenico al ristorante

Dal bancone per la finitura dei piatti alle vere cucine a vista. I cuochi al lavoro fanno spettacolo e attirano. Purché si rispettino precise regole

Siamo in un’epoca in cui tutto è “open”, trasparente, visibile e nella quale, soprattutto per quanto riguarda il cibo, il pubblico vuole avere tutto sott’occhio, controllare da sé la qualità. Così la cucina a vista diventa quasi un obbligo per un ristorante. Non è però solo una garanzia per l’ospite, ma anche un fatto di marketing: mostrare i gesti, esibire la propria organizzazione e la capacità del proprio personale è il miglior biglietto da visita in un periodo dove tutto è showcooking, in cui il cibo è onnipresente in televisione, su YouTube, su Facebook e sui social media in generale.

Ma che cosa comporta per un ristoratore organizzare il proprio locale in modo da mettere in vista i gesti della cucina? E quali sono i trend? 

Oggi addirittura si assiste al proliferare di locali con doppia cucina a vista, quella per le preparazioni vere e proprie, e quella per la finitura, su cui ci si può affacciare, mangiando direttamente su un bancone che consente di consumare e vedere al tempo stesso come il piatto viene confezionato. È una tipologia sempre più comune soprattutto per ristoranti che si ispirano al cibo etnico o di strada, dal ramen (tipica zuppa giapponese) alle tapas, al panino gourmet.

Come bisogna ragionare nel concepire un layout di questo tipo? Lo abbiamo chiesto agli architetti dello studio internazionale Vudafiero Saverino Partners, con sedi a Milano e Shanghai, creatori di alcuni concept innovativi come quelli di Pisacco o di Zazà Ramen a Milano.

«Creare una doppia cucina a vista è un’esigenza che nasce prima di tutto da un problema normativo - spiegano - perché in Italia non è possibile avere una cucina aperta sul pubblico senza alcun tipo di barriera fisica. Ci sono però alcune preparazioni, come è il caso del ramen nella tradizione giapponese, che vengono tradizionalmente eseguite sotto gli occhi dell’ospite. Per ovviare a questa differenza culturale si può realizzare uno spazio dove avviene la somministrazione del cibo e un altro, dedicato alla preparazione vera e propria delle pietanze, chiuso ma pur sempre visibile attraverso una vetrata».

Una soluzione di questo tipo è stata proprio quella scelta per Zazà Ramen, un locale su due livelli, in cui al piano di sopra il cliente può anche mangiare seduti al bancone guardando i cuochi che compongono il piatto e preparano la pasta nei cuocipasta, mentre, al piano inferiore, la cucina vera e propria è visibile attraverso un’ampia vetrata.

È fondamentale, nell’organizzare un bancone affacciato sulla preparazione, tenere conto di alcune avvertenze. «Innanzi tutto - ci dicono allo studio Vudafiero Saverino Partners - è fondamentale garantire il giusto comfort all’ospite, calcolando i corretti rapporti tra l’altezza del banco e delle sedute e scegliendo pezzi belli dal punto di vista estetico. Ma poi c’è anche da tenere conto del fatto che non tutto, nel lavoro di cucina, è gradevole da vedere. Alcune preparazioni vanno quindi necessariamente realizzate in un luogo nascosto. Quello che si mostra al pubblico deve essere soprattutto una sorta di teatralizzazione del cibo, in cui alimenti che sono già stati preparati altrove vengono semplicemente assemblati o portati alla giusta temperatura di servizio».

Importante poi è organizzare gli spazi in maniera tale da semplificare il lavoro del personale e renderli confortevoli anche dal punto di vista della corretta illuminazione e della qualità dell’aria. Grande attenzione va posta, quindi, all’ergonomia, all’impianto d’illuminazione sulle zone di lavorazione e all’aspirazione dei fumi e alla cappa, necessari anche quando non vi siano fonti di calore a fiamma diretta.

La cosa difficile, quando si ragiona su queste soluzioni che escono dalla consuetudine, è trovare professionisti in grado di realizzare il progetto tenendo conto di tutti gli aspetti: normativi, estetici, funzionali. Non sempre gli architetti sono esperti anche di attrezzature, ne conoscono il loro lato funzionale oltre che estetico. Di solito, infatti, definito lo spazio chiuso della cucina, si lascia spazio libero agli impiantisti per creare un ambiente di lavoro funzionale. Ma i tecnici non necessariamente sono dotati del gusto estetico necessario per dare a un locale tecnico un appeal visivo. Come si progetta, allora, una cucina a vista?

«Per definire il layout generale - spiegano gli architetti di Vudafiero Saverino Partners - è necessario fare uno studio di fattibilità, in cui si valutano con attenzione gli spazi, spesso ereditati da un’attività precedente che non era di ristorazione. Definita una prima idea occorre quindi procedere nella progettazione per fasi successive, individuando prima gli spazi che si vogliono dedicare alle varie funzioni, dal numero di coperti che si vogliono servire ai bagni, alla aree di cucina. Queste ultime vanno poi dimensionate non soltanto in base a un calcolo matematico, ma anche in base all’esperienza».

Esiste infatti un rapporto ideale tra metri quadri e numero degli addetti, ma in una cucina a vista è fondamentale riservare eguale attenzione alla parte visiva, a quella tecnica e anche a quella gestuale, perché anche il movimento del personale contribuisce a creare lo spettacolo. E se questo è disordinato e disarmonico anche la cucina più bella finisce per diventare brutta.

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