Il ristorante si fa in quattro

La sala ristorante
Dopo gli hotel, anche il ristorante si fa diffuso. Succede al D.one di Teramo che ha differenziato e suddiviso le sue sale in 4 antichi edifici. Formula insolita, con qualche criticità

Affaccia su Mare Adriatico, Maiella e Gran Sasso, voltando le spalle al Conero marchigiano. Guarda in più direzioni, ma parla a 360 gradi di Abruzzo e territorialità. È il D.one, ristorante gourmet con sede a Montepagano (Te), frazione che conta all’incirca 250 abitanti.

Oppure sarebbe meglio dire che ha “sedi”, visto che il D.one si fregia di essere il primo ristorante diffuso d’Italia. Diffuso sì, perché le sue sale non sono tutte contenute all’interno di un’unica struttura, bensì dislocate in più locali raggiungibili dalle strette viuzze del borgo abruzzese.

Cuore del ristorante, l’edificio che si scorge dalla piazza del paese. All’ingresso il bar e la lounge, in spazi del 1600 che ai tempi ospitavano l’antico forno, mentre ora accolgono i commensali per aperitivi e dopocena. Al piano, il privée con camino, una saletta intima a disposizione di cene aziendali o galanti. Quindi, grazie all’ascensore con vetrata a vista sulla cucina, si scende alla più ampia sala ristorante (nella foto), in passato regno di maniscalchi e fabbri. Poi però si esce. E, percorsa la Discesa San’Antonio, che è sede della cantina, si arriva in Via Piane dei Santi alla sala eventi, 80 posti e giardino vista mare (e monti), ma anche in Piazzetta delle Armi al “Solo per due”, suite con camino e maggiordomo dedicato.

Aperto nel 2015, questo ristorante deve la sua genesi all’imprenditorialità della titolare, Nuccia De Angelis, che ha ideato e investito nel progetto, e alla tenacia dello chef Davide Pezzuto. L’obiettivo? Far conoscere la cucina casalinga abruzzese per le vie del borgo, come in una sagra paesana, ma attraverso un’esperienza di cucina gourmet. Attorno a questa sfida è nato D.one che ispira il suo appellativo, da un lato a “Davidone”, soprannome dello chef, e dall’altro alla numerazione “D.uno”, il primo “diffuso” di una serie di altri locali. Tanto che è già all’orizzonte la messa in funzione del non lontano Pagus, un ristorante storico della zona con affaccio sul mare, 400 posti per oltre mille metri quadrati, di recente acquisito da Nuccia, che da un paio d’anni gestisce anche gli alloggi dell’albergo diffuso Montepagano 1137, cinque suite all’ex quartiere militare.

«La cucina è unica, ma il cibo è sempre impiattato laddove è consumato - spiega la proprietaria -. Ciò significa aver formato allo scopo tutto il personale di servizio ed aver predisposto locali tecnici di sporzionamento per ogni sala, secondo i dettami igienici richiesti dall’azienda sanitaria locale. Così le vivande sono movimentate sotto delle cloche, e in loco si provvede a completare la cottura o solo a completare i piatti. La gestione può non esser semplice, ma ha il vantaggio di permetterci di assecondare le più diverse esigenze della clientela. Ad esempio, per un evento come il capodanno, di ospitare un vip in incognito al Solox2, ma anche il gruppo che vuole la musica dal vivo in sala eventi e allo stesso tempo chi vuole cenare tranquillo, nella sala ristorante».

«Non esser nato qui mi permette di uscire dagli schemi - commenta il cuoco, descrivendo la propria filosofia in cucina -. Nei miei piatti c’è sempre la tradizione di queste terre, ma anche un richiamo alle mie origini, dalla burrata alla salicornia (gli “asparagi di mare” del Gargano), passando per i ricci di mare che però, negli spaghetti, faccio incontrare con il tartufo nero aquilano. Prediligo una cucina leggera e semplice, in cui ogni elemento abbia una sua riconoscibilità. Per questo adotto spesso tecniche, come l’estrazione, che rendano ben percepibili i gusti, anche se sono sempre più per il ritorno alle cotture tradizionali, che mostrano la buona mano di uno chef. L’equilibrio si crea in pentola. La mia scelta di restare in zona vive, ad esempio, in materie prime come gli orapi (erbe montanare dei tratturi) nel risotto e nelle talle fresche (germogli) dell’aglio di Sulmona, negli stracchinati di pecora come nei formaggi “gregoriani” (un pecorino a pasta morbida), nel baccalà Monti, un’eccellenza territoriale, e nelle carni di pecora e papera da allevamenti pescaresi, o nelle quaglie del produttore qua sotto. Del resto, prima di aprire qui, ho passato un anno a studiare i piatti di zona».

E ancora, nella carta del D.one entrano ortaggi e verdure coltivate nella loro campagna e olio evo biologico, ottenuto dagli oltre 3.000 olivi, pasta prodotta su commissione a partire da grani autoctoni e forniture d’eccellenza di prodotti tipici abruzzesi.

Il menu del D.one propone antipasti, primi e secondi sia di terra che di mare, con la possibilità di tre degustazioni, a scelta tra: La scoperta (5 portate scelte dallo chef), Il pesce a modo mio (7 portate) e Caos (9 portate). È previsto inoltre l’abbinamento ai vini con quattro formule, da 2 a 5 calici, da 12 a 25 euro.

In cantina riposano all’incirca 350 etichette, con molte referenze regionali. Esiste pure una carta a parte dei vini “subacquei” e della birra con acqua di mare. In arrivo, la carta dei vini in anfora, di produttori abruzzesi.

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