La tavola gourmet del LeoneFelice e il bistrot Vistalago, in Franciacorta

All’Albereta di Erbusco si riparte con ottime premesse e progetti. Lo chef Fabio Abbattista al timone del LeoneFelice

Vent’anni. Tanto è durato il sodalizio fra Gualtiero Marchesi e Terra Moretti, holding a cui fanno capo molteplici attività (costruzioni, contract, real estate, ma anche case vinicole come Bellavista, Contadi Castaldi, Petra, la tenuta La Badiola con il resort toscano L’Andana e il ristorante di Alain Ducasse) fra cui l’Albereta, dove Marchesi aveva il suo ristorante, in una gestione del tutto autonoma rispetto a quella del Relais di Erbusco.

Ora siamo all’anno zero e all’Albereta, dal 3 luglio scorso, si è voltata pagina. Carmen Moretti (vicepresidente del gruppo Terra Moretti) e il marito Martino de Rosa, proprietari della società At Carmen, attiva nel campo della hotellerie e del real estate - hanno definito una nuova impostazione per la proposta ristorativa del Relais, decidendo di occuparsene in modo diretto.
Dunque, nuova impostazione gastronomica, nuova suddivisione degli spazi, sdoppiamento della proposta food in due formule: quella gourmet (ristorante aperto solo a cena) e quella più easy del bistrot Vistalago (50 coperti, aperto a pranzo e cena), il tutto con restyling completo delle cucine, che comunque avevano ormai vent’anni. Ed è cambiato anche il nome del ristorante gourmet, battezzato LeoneFelice, per rendere omaggio a Leone, vecchio custode e giardiniere della villa poi trasformata in questo Relais immerso fra i vigneti franciacortini. Nella lista dei cambiamenti, una brigata rinnovata (salvo il maître Ermes Cantera, dieci anni con Marchesi, che ha preferito restare a Erbusco a presidiare sala e cantina) e un nuovo executive chef, il pugliese Fabio Abbattista.  Giovane, motivato, con tutti i numeri e l’esperienza per brillare, con l’esperienza e l’ambizione di affermare una propria linea di cucina riconoscibile e apprezzata dalla clientela; ma senza bizze da starchef e con l’occhio molto attento non solo alla qualità della proposta ma anche al conto economico perché, come ammonisce il patron Martino de Rosa: «Ho visto fin troppi ristoranti di successo ritrovarsi con bilanci in rosso».

Il ristorante è molto cambiato nel look, secondo un progetto architettonico firmato dall’architetto “di famiglia” Valentina Moretti, caratterizzato da alcuni elementi di grande suggestione come il lampadario di Dimore Studio, in cui grandi sfere sospese evocano gli acini d’uva che hanno fatto la fortuna della Franciacorta, le poltrone Chesto di De Padova, la carta da parati Hermès. La finestra sulla cucina è stata mantenuta, schermata da vetri a specchio scorrevoli e da una cantina vetrata a tutta parete, che delimita la zona della sala e allo stesso tempo funge da importante elemento di arredo.

Succedere a Marchesi è un’impresa che può intimorire, ma Abbattista è tranquillo e i risultati gli stanno dando ragione, con una media di una settantina di coperti al giorno fra bistrot e ristorante gastronomico.
«La sfida - dice lo chef - era aprirci al territorio e far tornare i clienti storici di Marchesi e mi pare che siamo sulla buona strada. Abbiamo clienti americani del Relais che sono stati anche tre volte in una settimana a cena al LeoneFelice e industriali della zona che spesso scelgono il Vistalago (dove abbiamo anche un lunch con piatto unico a 14 euro) per le loro colazioni di lavoro. Fondamentale è la qualità. Io sono un fautore del piccolo produttore e per fortuna in zona ce ne sono molti, dal caseificio al piccolo pescatore d’Iseo e al macellaio bergamasco che alleva fassone a Nizza Monferrato».
L’impostazione del menu di Abbattista parte da un concetto preciso, condiviso con i Moretti: recuperare i sapori della memoria, ispirandosi alla cucina borghese degli anni ’50 e ’60, attualizzati dalla creatività di Fabio.
«Il nostro menu - precisa lo chef - ruota stagionalmente, per rispettare la stagionalità orticola, suddiviso fra ricette di carne e di pesce di lago e di mare. Il risultato sono grandi piatti come gli gnocchi di rape rosse al Fatulì della Val Saviore (un formaggio bresciano, presidio Slow Food), lo spaghettone alla triglia di scoglio o, ancora, i ravioli di burrata al caviale, ripieni con burrata di Andria e legati con il suo latte interno, con un tocco di sapidità dato dal caviale iraniano». Da quello che abbiamo visto e assaggiato, il nuovo corso promette ottimi risultati.

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