Ristorante La Bul, innovare la tradizione in Puglia

La Bul di Bari sta facendo molto parlare di sé; eppure, solo un anno e mezzo fa rischiava di chiudere per insufficienza di clienti. L’originalità del ristorante si basa sull’equilibrio fra note dissonanti, a partire dall’ambientazione, all’apparenza spontanea e casalinga, in realtà studiata come moderna rappresentazione dell’antico, per passare all’offerta gastronomica, in cui materie prime e ricette del territorio vengono (rispettosamente) messe in gioco attraverso un approccio contemporaneo. Primo locale di proprietà dello chef Antonio Scalera e della sommelier Francesca Mosele - laureati e compagni di lavoro e di vita - La Bul riflette le loro variegate esperienze nel settore, iniziate quasi per caso poco meno di vent’anni fa. «Ristrutturammo dei trulli per farne un bed & breakfast - racconta Antonio Scalera -. Lì ci capitava di organizzare delle cene con amici e ci rendemmo conto che la cosa funzionava. Quindi, abbiamo deciso di dedicarci alla ristorazione e abbiamo lasciato Bari per fare esperienza».

Antonio ne fa tantissima, anche presso ristoranti stellati e all’estero. Francesca lo segue, diventa degustatrice di vini, scrive sulla stampa di settore e non disdegna il lavoro in sala. Infine, il ritorno in Puglia, in seguito a un’offerta da parte della Grotta Palazzese di Polignano a Mare. Quattro anni fa, infine, la decisione di aprire in proprio, con un nome che è un programma: «La bul, o boule, è la borsa dell’acqua calda: qualcosa di domestico e rassicurante - spiega Scalera -. Da noi pochi tavoli, arredi gradevoli e personali e un cortile da riaprire a ogni primavera».
Poi, c’è naturalmente la cucina: «La mia si potrebbe definire integralista quanto alle materie prime, tutte del territorio e provenienti da piccoli produttori o direttamente dal nostro orto. La ricerca della carne e del pesce è la parte più difficile. Quanto alle tecniche e alle ricette alla base c’è un certo spirito giocoso: cerco di fare le cose “nostre” ma in modo divertente e nuovo». Si tratta di un approccio abbastanza inedito nel panorama dei ristoranti pugliesi, in buona parte legati a un’idea tradizionale del cibo e degli ambienti. «All’inizio - ricorda il patron - Bari rifiutava lo stile “diverso” che trovava a La Bul. Ma non abbiamo mai cambiato fiolosofia e alla fine questo ci ha premiato».

Come spesso accade a volte si è apprezzati prima dai “forestieri”. «Qualche guida ha parlato di noi, abbiamo partecipato a manifestazioni e questo ci ha reso visibili anche ai nostri concittadini, sebbene tuttora il grosso dei nostri clienti venga da fuori città. L’evoluzione del gusto, che ha reso il cibo un’esperienza più ampia e ha accentuato l’attenzione verso uno stile di ristorazione più sana e leggera, ha fatto il resto».

La carta, con 15-20 piatti, cambia ogni mese e mezzo. Antonio gioca alle variazioni sul tema di piatti consolidati nella tradizione locale. Così la tartare di pesce non è fatta con la ricciola ma con le sue ventresche; gli spaghetti con i ricci, che nei ristoranti baresi non mancano mai, sono conditi con stracciatella tiepida e mandorle di Toritto; il coniglio consiste di otto tagli cotti ciascuno in maniera diversa. Uguale percorso ha avuto il vino, che qui è solo naturale. Francesca Mosele, che cura la carta scrivendola a mano su una agenda Moleskine, spiega le linee guida: «Cerchiamo di vendere il vino più naturale e buono possibile, ma senza integralismi. Abbiamo circa duecento etichette e puntiamo sul buon rapporto qualità-prezzo grazie a ricarichi bassi, che riusciamo a perseguire con il contatto diretto con alcuni produttori».

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