Mauro Uliassi: «La cucina sarà sempre più di piacere e di cura. Buona e sana»

Due stelle Michelin, tra i cento best chef del mondo. Una carriera iniziata da docente di istituto alberghiero e diventata grande grazie al "talento" come lo definisce lui. Un talento che ora spazia tra alta cucina e street food

Non dichiara predilezioni né per tecniche né per ingredienti particolari. Esperienza e talento sono al servizio dei suoi piatti, volta per volta costruiti su un’idea. Ed è così che l’essenza di Mauro Uliassi ha reso grande Uliassi.

Quando in Estasi culinarie, la scrittrice francese Muriel Barbery accenna alla figura dello “chef Tsuno, il più grande di tutti”, ho pensato a lui: Mauro Uliassi del ristorante Uliassi di Senigallia nelle Marche. Perché, come scrive la stessa autrice de’ L’eleganza del riccio, “la cucina è diventata arte grazie a una continua elaborazione, alla mescolanza di passato e futuro, qui e altrove, cotto e crudo, salato e dolce, e può continuare a vivere solo liberandosi dall’ossessione di chi non vuole morire”.

Ecco allora che questo chef che sa fluire nel tempo, con la sua cucina creativa di mare, è sulla cresta dell’onda dall’inizio degli anni Novanta - quando ha aperto il suo Uliassi con la sorella Catia – e dai primi anni Duemila è balzato agli onori della critica gastronomica, prima italiana, e poi internazionale. Ma a sentirlo parlare, molto saggiamente, tutto ciò a cui resta attaccato pare essere se stesso. La sua essenza. «Perché - spiega - quando ho aperto il mio ristorante non ho iniziato soltanto un nuovo percorso professionale, ma anche un bel cammino di conoscenza interiore». E ciò che è diventato, ciò che potrà ancora diventare, lo ha fatto grazie a un aspetto per lui cardine, l’esperienza. E grazie a un ingrediente che gli sta a cuore, quello che predilige su tutti: il talento.

Come ricorda: «Ho avuto la fortuna di riconoscermi, di riconoscere il mio talento, quella sera di tantissimi anni fa quando ho cucinato per il compleanno di mia moglie Chantal, con il cuore gonfio d’amore. Da allora, ho imparato a credere nel mio talento. Talento, e non passione. Il talento è la cosa che più facilmente riesci a fare. Poi servono anche altre cose, ovvio. Ad esempio, la capacità di coordinare un gruppo e di organizzare. Perché il cuoco è anche un leader e un manager, come il capitano di una barca o il direttore di un’orchestra».

Cosa porterebbe nel futuro e cosa lascerebbe di questi ultimi 10 anni?

Lascerei tutto quello che ho già avuto. Non mi serve perché l’ho già avuto, conosciuto, provato, fatto mio. Mentre vorrei portare sempre con me l’entusiasmo con cui sono giunto fin qui. È un ingrediente fondamentale. La vita di noi cuochi è vorticosa, concentrata sul qui e ora. Quello che sono stato ieri mi aiuta nell’oggi e quello che sono oggi mi guiderà domani, ma non sono attaccato a nulla. Anche con altri tipi di successo - quando dovevamo ancora crescere nel locale, e poi nel regionale, quindi il nazionale e l’internazionale - sempre, l’intensità che ho messo in ciò che facevo è stata a mille. Valuto le situazioni di volta in volta, non ce n’è una superiore all’altra, così come le tecniche. È il mio know how la mia ricchezza, la mia esperienza e la mia memoria.

Qual è l’evento che ritiene abbia segnato la sua professione?

Penso sia stato l’incontro con il grande chef Ferran Adrià. Mi ha svelato un mondo diverso e molto interessante. Il senso di libertà che c’è nel proprio mestiere, la possibilità di sentirsi liberi e anche di cercar se stessi. Lui è stato un punto fermo per i cuochi della mia generazione, attivi dagli inizi anni Novanta. E io nel 1998 sono stato al suo ristorante “El Bulli”, in Costa Brava, per un’esperienza a porte chiuse. Da allora, anche negli anni seguenti finché è stato possibile, ho sempre mandato lì in stage alcuni dei miei ragazzi.

Quali sono le tendenze che secondo lei emergeranno nei prossimi 10 anni? 

Sinceramente non saprei. Immagino una cucina sempre più salutare. Di piacere e di cura, al contrario di quella classica delle diete. Un’attenzione crescente al cibo buono e sano, ai prodotti biologici non contaminati. Concetti che l’alta ristorazione ha già fatto suoi da tempo. Quanto alle tecniche, quelle che abbiamo ora bastano per i prossimi 20 anni. Le tecniche servono solo a produrre più velocemente. È invece dal pensiero che nasce il piatto. Ed è il pensiero che interpreta la tecnologia.

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