Vincenzo Candiano

Andare al cuore dei sapori, dare ai piatti una valenza emozionale, rispettare la tradizione. Ecco cosa ci porterà nel futuro secondo il bistellato siciliano

Presentare uno chef bistellato come “una brava persona” potrebbe suonare offensivo prima ancora che riduttivo. Sperando che Candiano non me ne voglia, mi prendo la responsabilità  e rilancio aggiungendo che è anche una bella persona, gentile e cordiale nel senso etimologico del termine, cioè è uno che nelle relazioni ci mette il cuore.  Chi gli affida la propria esperienza gastronomica, a prescindere dal risultato finale, sa che in cucina lui si occuperà seriamente del suo pasto.

Un approccio morbido alla professione e una personalità senza i soliti aculei del mestiere, dimostrano che, anche nel mondo degli chef-star system, il basso profilo e l’alta cucina possono convivere.

Dal punto di vista umano ho trovato Candiano lo stesso di quando l’ho intervistato la prima volta una quindicina di anni fa, anzi è migliorato.

Non si è montato la testa e soprattutto ha mantenuto il domicilio in cucina - oggi quella del ristorante Locanda Don Serafino a Ragusa Ibla - disegnando forse inconsapevolmente un modello alternativo di chef stellato. Non il cuoco-contadino, come ci si aspetterebbe per via delle sue origini (proviene da una famiglia proprietaria di una piccola azienda agricola), ma piuttosto lo chef intellettuale defilato, che si è formato all’Istituto Alberghiero di Modica e soprattutto con grandi donne: quelle della sua famiglia, innanzi tutto, e poi un breve periodo trascorso a fianco di Valeria Piccini, chef di “Da Caino” a Monetemerano. Motivo per cui Vincenzo si considera un autodidatta.

Ma è colto, parla bene, evita gli slogan, eppure non è salito in  cattedra e non ha invaso gli studi televisivi. Come riflettori ha preferito le candele del suo ristorante e come telecamere gli occhi dei suoi affezionati clienti.

Da questa posizione decentrata nel sud della Sicilia, Candiano costruisce piatti contemporanei ma non temporanei. Di quelli che sono destinati a restare, a diventare classici, mi auguro e gli auguro, perché mattoni nella costruzione della Nuova Cucina Siciliana.

Qual è il suo bilancio degli ultimi dieci anni?

È un bilancio positivo. Anzitutto perché penso di essere riuscito a soddisfare i miei clienti e a fidelizzarne di nuovi.  Sono anche contento dei miei nuovi piatti che riescono ad avere successo anche se si mantengono lontani dagli effetti speciali. In questi anni non ho fatto i fuochi d’artificio, ho invece intensificato la ricerca restando fedele alla mia idea di cucina, basata sulla vicinanza alla mia terra e alle mie radici. Ultimamente ho puntato a migliorare la tecnica di estrazione dei sapori e ho cercato di puntare sempre più fortemente a quella che definisco “amplificazione sentimentale”. Mi piace colpire i sentimenti di un cliente. Per me puntare a un “Effetto Ratatouille” è molto importante.

Cosa porterebbe nel futuro e cosa lascerebbe di questo decennio?

Nel futuro porterei l’amore di noi cuochi italiani per la cucina regionale italiana, il rispetto per la tradizione e per gli ingredienti. È questa è la nostra ricchezza e non la tecnica che troppo spesso si riduce allo scimmiottamento di altre cucine. Indietro lascerei volentieri qualche moda sterile.

Qual è l’evento che ha segnato la sua professione e quale l’esperienza che l’ha “fatto svoltare”?

Gli eventi sono due: le stelle Michelin che hanno segnato profondamente la mia professione, facendomi capire che stavo realizzando il mio progetto. Prima, altrettanto importante, c’è stata la vittoria al  concorso “Giovane cuoco emergente del Sud Italia” organizzato nel 2007 a Napoli da Luigi Cremona e che mi ha consentito di farmi conoscere anche fuori dal mio ambiente.

Quali sono le tendenze, della cucina in genere e sue in particolare, che lei ritiene potranno emergere nei prossimi dieci anni?

Dal canto mio mi sto dedicando a migliorare l’estetica dei piatti e a “pulire” un po’ più i gusti. Non sono uno che ama fare intrugli, anzi mi piacerebbe essere ancora più essenziale, più pulito. I due “soci” della mia cucina, che rimangono fondamentali, sono l’ingrediente e il messaggio che voglio trasmettere al cliente. Per le tendenze in generale, penso che si punterà sulla sobrietà e sul minimal. Per il resto, non seguo molto i trend perché tendo a pensare soprattutto a quello che faccio io.

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