L’uovo di Colombo

Prenotiamo al telefono. Una voce cordiale ci conferma tavolo e orario. All’arrivo riconosciamo nel ragazzo che ci accoglie la stessa voce cordiale. Ci accompagna al tavolo e ci porge il menu. In inglese! (non male in tempi di Expo). Uova all’occhio di bue, strapazzate… Tutto sembra coerente con la promessa “di riscoprire piatti semplici e autentici della tradizione, con un’attenzione particolare al comfort food per eccellenza: l’uovo”.

Peccato che abbiano dimenticato di sottolineare che tale riscoperta è a cura esclusiva dell’ospite. Nemmeno il nostro eroe, tanto cordiale e gentile, spreca una sola parola su ciò che sul menu è segnalato come “uova di selva”, che in seguito scopriamo essere uova biologiche prodotte in Valtellina, nella Valle del Bitto, in un bosco di castagni a 600 metri di altitudine. Scoperta che forse avrebbe aiutato a digerire meglio il conto (salato).

Abbiamo scelto di non citare l’insegna perché l’errore è comune a molti. I numeri dell’indagine Formind che pubblichiamo nelle pagine che seguono lo confermano (pag. 34). Oggi più che mai, il racconto e l’attenzione alle materie prime sono fondamentali. Lo sa bene Andrea Rasca, il geniale imprenditore che sta dietro al Mercato Metropolitano di Milano: a un mese dall’apertura, si registra una media di 65.000 scontrini e presenze settimanali superiori alle 120.000 persone (guarda
il video con la realtà aumentata a pag. 14). Lo sanno bene i giovani sous chef e chef patron che abbiamo intervistato (pag. 18), che sembrano aver abbandonato ogni idea di fronzoli. Che abbiano scoperto l’uovo di Colombo?

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