Chef alle prese con la Michelin (e clienti con la cucina stellata)

Abbiamo chiesto a persone comuni cosa pensano della cosiddetta cucina delle stelle. E agli chef cosa cambia quando prendono o perdono la stella. Un quadro da considerare

Michelin
Abbiamo chiesto a persone comuni cosa pensano della cosiddetta cucina delle stelle. E agli chef cosa cambia quando prendono o perdono la stella. Un quadro da considerare

Una domanda di poche parole scelte in modo da risultare neutre. Era “Ti piace la cucina dei ristoranti stellati?”, l’ho postata su Facebook, e… apriti cielo! Ha innescato una reazione a catena di interventi infervorati, pro e contro, preceduta da una sorpresa veramente inaspettata: alcuni followers contestavano in maniera anche energica (risparmio la cronaca degli insulti) la stessa legittimità della domanda. “Domandare è lecito”, mi avevano insegnato alle elementari. Invece, pur essendo cresciuto con la certezza di questo assioma, mi son sentito dire di tutto.

“Sembra una domanda davvero poco intelligente”. “La cucina stellata non è un genere. Non esiste. Quindi è ozioso chiedere se piace o no”. “Strana domanda, perché può piacere la cucina di alcuni cuochi stellati e non quella di altri”.
Ma come?  Sono anni che sento parlare di cucina stellata, con tutti che si capiscono, e ora mi si nega il diritto di formulare questa domanda? Una prova? Il recente polverone sollevato da Milena Gabanelli è stato riportato sui giornali con questi titoli: La Gabanelli contro la cucina stellata: polemica per il suo post (Il Giornale); Milena Gabanelli contro la cucina stellata: “Non so cosa ho mangiato, è masochismo” (Il Fatto Quotidiano); “La cucina stellata lascia l’anima affamata” (Il Foglio). Quindi, per la stampa e per il senso comune la locuzione “cucina stellata” ha un senso eccome. Tanto che mi sento di tentare una definizione: la cucina stellata è una cucina caratterizzata dalla ricerca, dall’innovazione, dalla tecnica raffinata e spesso ispirata alla scienza. Rielabora le preparazioni tradizionali adeguandole a un gusto più contemporaneo e spesso avvenirista, pone grande attenzione alla qualità delle materie prime, ibrida ingredienti del territorio con altri esotici e si distingue per l’estetica della presentazione. Il servizio è accuratissimo e sempre all’italiana (al piatto) con costante prevalenza della qualità del cibo sulla sua quantità. Sinonimo di “alta cucina”, ha raccolto l’eredità degli insegnamenti di Gualtiero Marchesi e della Nouvelle Cuisine, motivo per il quale cui è così prediletta dagli ispettori Michelin. Al suo insorgere si è provato a imporle la definizione di “Nuova Cucina Italiana”, ma nell’uso comune è poi prevalso quello di “cucina stellata”.

Ma passiamo alle risposte dei lettori. Anna: «I ristoranti stellati mi piacciono perché la ricerca e la sperimentazione vanno premiate». Francesco: «E chi li ha 30 euro per un uovo?». Giudy: «Se potessi li visiterei tutti, ma mi devo accontentare di quello che leggo in giro». Laura: «E chi lo sa? Per me sarebbe come guidare una Ferrari col pensiero alla benzina... neanche me la gusterei!». Aurelio: «Prevalentemente no. Però condivido la frase di Gualtiero Marchesi: “Nei miei ristoranti un piatto costa, ma è come andare a teatro o vedere un opera d’arte, è un’esperienza sensoriale». Mariano: «Solo per curiosità e per esplorare un mondo molto cool, perché se voglio piatti particolari me li faccio da me e senza il seme di limone!». Barbara: «Non li frequento, però vedendo i piatti in Tv mi assale l’angoscia». Mario: «Non è altro che l’esasperazione della cucina “truccata e manipolata” all’inverosimile! Gli chef sono obbligati dalla lobby delle guide ad acquistare le cosiddette “derrate d’eccellenza” anche d’oltremare. Il cliente pensa di aver mangiato chissà cosa e invece ha ingurgitato porzioni ridotte all’osso tra spume, bisque, ristretti, polveri, essenze e chi ne ha più ne metta». Teresa: «È da modaioli che li frequentano per vantarsi». Roberto: «Mi piace la cucina, stellata o meno l’importante è che sia buona e che che costi il giusto per quello che ti danno». Monica: «A volte vero genio, altre insulsa elucubrazione». Anna: «Apprezzo la bellezza dei piatti. A volte sono opere d’arte!» Arturo: «Mi piace perché ci vedo conoscenza delle materie prime e molta inventiva che deriva anche dalla padronanza del mezzo. Tanti chef, però, per stupire i clienti portano agli estremi piatti tradizionali rovinandoli». Stefania: «Si, ma ogni tanto, perché il cibo mi piace caldo!». Gian Piero: «I ristoranti stellati hanno alcune caratteristiche comuni odiose: 1) prezzi esagerati 2) proprietari saccenti, pedanti e spesso... ignoranti 3) porzioni per anoressici 4) l’uso indiscriminato di ingredienti strani al solo scopo di stupire». Stefano: «Lo stellato sta al ricco di tasca come le trattoria sta al ricco di intelligenza. I piatti della cucina stellata sono sempre gli stessi, soprattutto gli ingredienti e le materie prime: cucina tutta uguale e stessi fornitori».

Le risposte degli chef puntano sempre alla “dining experience”. Per tutte, riporto quella della cuoca Laura: «Non è solo un pasto, se ci vai è perché vuoi altro. È un insieme di cose racchiuse dalla parola accoglienza. Vai e fai un viaggio sensoriale. Se non si è aperti per capire ciò è inutile parlarne o fare di queste domande».

Numerose sono le risposte secche, un semplice “Sì” o un “No” con i “No” che prevalgono nettamente sui “Sì”, come è accaduto nelle risposte articolate. Secondo me, visto che si parla di avanguardia, è un risultato che gli chef sellati dovrebbero vedere con ottimismo. Insomma, è un bicchiere tutto sommato per un ciccinìn pieno.

I commenti degli chef

Claudio Sadler - Sadler: «La stella è un riconoscimento importante è inutile negarlo. È logico che perderla ti lascia una brutta sensazione. Però capita, le stelle non sono eterne. Con la perdita cambiano le dinamiche interne ed esterne al ristorante. Esternamente i clienti la vivono come una punizione nei tuoi confronti. Internamente, la perdita deve farti ragionare e farti analizzare il lavoro che hai svolto fino a quel punto. Noi, che da 35 anni proponiamo una ristorazione di qualità, lo abbiamo fatto. Per esempio, per dare maggiori possibilità al cliente di assaggiare la nostra cucina abbiamo portato a tre i menu degustazione. Abbiamo aggiunto una portata a quella principale togliendo i vini dal menu - che prima erano inclusi - portando il prezzo da 180 a 140 euro. E poi per curare ancora meglio la nostra proposta alla carta abbiamo ridotto le proposte. Antipasti a parte, oggi proponiamo 5 primi anziché 6 e 7 secondi invece che dieci».

Alessio Longhini - Stube Gourmet: «Abbiamo conquistato la stella a novembre 2017 (e contestualmente Longhini è stato premiato come chef emergente dalla guida Michelin, ndr). Cosa ci ha portato? Da un punto di vista della cucina abbiamo continuato a lavorare basandoci sui medesimi criteri: dare qualità e servizio ai nostri clienti, la risposta migliore è sempre quella di vederli tornare. Ma c’è da dire che con la stella sono arrivati nuovi clienti da tutta Italia, molti per esempio da Roma. Così come sono leggermente cresciuti gli stranieri, specie i tedeschi. Dall’assegnazione della stella fino alla scorsa Pasqua abbiamo sempre registrato il tutto esaurito, cosa che non era mai successa prima. Ciò detto, non cambierà la nostra linea di cucina che è la nostra identità: se è stata premiata, significa che è la strada giusta. Ovviamente cerchiamo sempre di migliorarci e di crescere, sia dal punto di vista della cucina che della cantina, che abbiamo ampliato fino a 500 etichette».

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