Classifica Pambianco degli Chef stellati 2018: primo Alajmo, Cracco miglior performer, assenti giustificati i Cerea

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Sono stati publicati da Pambianco i primi dati sul 2018 sul fatturato degli chef stellati. I dati sono senz'altro positivi, con una crescita che ha superato il 20%, arrivando a sfiorare il +22,5% nel corso di un anno caratterizzato da tanti nuovi fatti.
Il campione di riferimento si basa sulle società di capitali e non comprende pertanto alcuni nomi blasonati della nostra cucina d’autore perché, nonostante la fama e il giro d’affari ormai significativo, buona parte delle attività viene ancora gestita attraverso società di persone.

Al primo posto la famiglia Alajmo di Padova con la società omonima.
Nel 2017 sul gradino più alto del podio c'erano i fratelli Cerea proprietari del marchio "Da Vittorio a Brusaporto". Quest'anno i Cerea sono spariti, non solo dal podio ma da tutta la classifica. Questo perché la scelta fatta a monte da Pambianco nella compilazione della classifica era che il business prevalente fosse nella ristorazione stellata mentre attualmente risulta che il loro giro d'affari prevalente sia connesso all'attività di catering. Infatti rientrano  in una classifica dedicata ai catering.
Tornando alle attività della famiglia Alajmo, queste comprendono la gestione della ristorazione su tante differenti piazze. Il punto di riferimento resta Le Calandre, ristorante tristellato alle porte di Padova, situato peraltro a poca distanza dal golf club La Montecchia da dove l’esperienza della famiglia ha avuto inizio e tuttora continua, mentre la seconda generazione rappresentata dallo chef Massimiliano Alajmo e dal CEO Raffaele Alajmo si è focalizzata sullo sviluppo arrivando fino a Venezia con Gran Caffè Quadri e con Amo al Fondaco dei Tedeschi, per poi imporsi a Parigi con il Caffé Stern e, novità del 2019, a Milano con Amor in corso Como. In attesa dei “frutti” di quest’ultimo, inaugurato durante la design week ad aprile con la grande novità della pizza al vapore, i conti delle società di Alajmo evidenziano un incremento di quasi il 5% e sostanzialmente “like for like” per il precedente esercizio, mentre i risultati del 2019 dovrebbero beneficiare del contributo di Amor e anche dell’attesa apertura in Marocco, sulla piazza di Marrakech.

Il fenomeno del 2018, tuttavia, pare essere Carlo Cracco, al terzo posto in classifica dietro il secondo classificato Antonino Cannavacciuolo. Nel 2017 Cracco compariva al quarto posto (Cannavacciuolo era terzo), ed era apparso evidente che la posizione dello chef poteva essere considerata interlocutoria, perché Cracco abbandonava la location di via Victor Hugo per fare il suo ingresso in Galleria Vittorio Emanuele. E anche se per ora la Michelin non gli ha restituito la stella clamorosamente tolta ai tempi del trasloco, facendolo scendere da due a un solo macaron, Cracco si sta assicurando notevoli soddisfazioni sotto l’aspetto economico avendo incrementato in un solo anno il suo giro d’affari del 60% per portarsi da 7,2 a 13 milioni di ricavi. Salvo clamorose sorprese, inoltre, il 2019 dell’ex protagonista di Masterchef Italia dovrebbe essere ancor più favorevole perché se da un lato Cracco ha concluso l’esperienza con Lapo Elkann in Garage Italia, dall’altro ha riaperto il suo storico locale di via Hugo con il brand Carlo e Camilla, questa volta non più in Segheria ma in Duomo. E non è detto che i prossimi mesi non possano riservarci ulteriori sorprese.

Un altro prevedibile risultato double digit, in termini di incremento, era quello di Enrico Bartolini, ormai giunto al traguardo delle sei stelle con cinque ristoranti in Italia. Bartolini si è piazzato al quinto posto,come nel 2017. Allo chef di origine toscana manca solo la soddisfazione della terza stella al Mudec di Milano, il ristorante più accreditato per il raggiungimento dell’obiettivo però fermo a quota due stelle, ma nell’attesa sono arrivati il Casual a Bergamo, la Trattoria Bartolini all’Andana in Toscana, il Glam a Venezia e infine, sesta stella, la Locanda del Sant’Uffizio in Monferrato.
Il giro d’affari delle attività di Bartolini in ristorazione si aggira sui nove milioni di euro e anche per lui il 2019 dovrebbe comportare un’ulteriore crescita, partendo dal consolidato per poi arrivare alle ulteriori esperienze avviate con Allianz a Borgo San Felice e con il Montana Lodge di La Thuille.

Un’altra grande performance è quella messa a segno da Niko Romito (sale dal nono all'ottavo posto) al termine di un anno molto intenso e che ha visto lo chef abruzzese impegnato su diversi fronti, dall’hotellerie con Bulgari alla “Bomba” nello street food per poi arrivare alla sua idea di stazione di servizio lungo la Statale 17 che passa per Castel di Sangro (L’Aquila) con il brand Alt e la specialità del pollo fritto intero. Per Romito, il giro d’affari del 2018 è di 5,3 miliardi e la crescita sul 2017 è stata di quasi il 15%.
Sulle stesse percentuali di incremento viaggia Giancarlo Perbellini, (mantiene il sesto posto) che sale a 6,1 milioni di euro grazie anche al contributo di Locanda Perbellini a Milano, inaugurata proprio nel 2018.
Passa dall'ottavo al settimo posto Andrea Berton (5,5 milioni generati da più società) e compare al nono posto come new entry Enrico Crippa (4,2 milioni tra Piazza Duomo e La Piola); entrambi, dunque, registrano un segno positivo single digit.
Mantiene la decima posizione chiudendo ancora la top ten lo “storico” esponente dell’alta cucina in Campania, Alfonso Iaccarino di Don Alfonso 1890,  che supera i 3 milioni di euro con un balzo del 25% anno su anno.

La classifica del 2018 evidenzia un trend positivo per le società di ristorazione stellata, tutte in crescita di fatturato.
La strategia dello sviluppo nazionale e internazionale del brand legato allo chef è auspicabile e spesso necessaria, per ragioni di immagine e perché attraverso consulenze e format replicabili si ottengono risorse che permettono di far quadrare i conti sempre minacciati dall’alta incidenza dei costi, tipica del ristorante d’alta cucina che richiede un numero elevato di risorse umane qualificate. Ed è per questo che gli chef di grido stanno sempre più creando delle academy interne, formando personale che una volta pronto per nuovi incarichi, dev’essere convinto a rimanere all’interno della squadra: l’espansione del marchio serve anche a trattenere i vari sous-chef promuovendoli executive nelle nuove iniziative italiane ed estere, e lo stesso principio vale per il personale

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