Gli spaghetti alla bolognese: da “nemico” ad alleato

il piatto simbolo della città può essere un grande strumento di promozione. Ma cosa fare se, come a Bologna, ti rappresenta un’icona “sbagliata”?

La redazione di Ristoranti esprime grande cordoglio per la scomparsa improvvisa di Piero Valdiserra. L'intervista che segue è stata pubblicata sul numero di dicembre 2016 di Ristoranti.

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La cotoletta alla milanese, la bistecca alla fiorentina, la pizza napoletana sono solo alcuni esempi di piatti simbolo di alcune città italiane, ma ce ne sono parecchi altri. Puntare su una di queste ricette, che mettono in luce l’eccellenza della tradizione gastronomica del territorio in cui un ristorante si colloca, può essere strategico, perché si riesce a sfruttare una notorietà già presente nella mente dei consumatori: l’importante è individuare il piatto giusto, una proposta semplice ma forte, che contenga magari già nel nome un’associazione alla località, per poi presentarlo e valorizzarlo.

«Occorre cercare di identificare nel panel cittadino una proposta forte, semplice da capire e da preparare, non troppo complicata, perché la mente umana ama la semplicità - osserva Piero Valdiserra, esperto di marketing territoriale -. L’ideale è lavorarci in sinergia: da ristoranti, alla filiera, al territorio».

Se il nome della preparazione associa già il piatto alla città, come nel caso per esempio della cotoletta o del risotto alla milanese o della bistecca alla fiorentina, c’è già un patrimonio pronto, un capitale da usare. «Saper preparare e presentare quello che può essere identificato come il piatto simbolo di una città può essere un elemento di posizionamento forte per i turisti in visita - continua Valdiserra -. Spesso magari si opta per proposte più esotiche, ma puntare su una tradizione che si può valorizzare promuovendosi attraverso piatti simbolo può essere strategico. Oltre a una buona cucina, una buona gestione della sala e un bell’ambiente, è importante non dimenticare di proporre in prima battuta le eccellenze della terra e del territorio, senza per questo escludere le altre proposte».

Un discorso, questo, che può funzionare anche per un caso paradossale, cui Valdiserra ha dedicato un libro: quello degli spaghetti alla bolognese, piatto famoso all’estero che però a Bologna non viene riconosciuto come tipico e quindi non proposto. «La grande fortuna di questo piatto - sostiene l’esperto - è la sua notorietà universale e il fatto di avere Bologna nel nome: sono punti di forza incredibili, che gli danno un’enorme forza commerciale ahimé disconosciuta. La tradizione gastronomica del capoluogo emiliano, infatti, si basa sulla pasta fresca, mentre gli spaghetti sono considerati tipici del Sud e inadatti all’utilizzo con il ragù, per cui da sempre c’è una sorta di negazionismo degli spaghetti alla bolognese, che invece hanno una tradizione antica sia di consumo sia di produzione».

Risultato: questo piatto, che all’estero simboleggia il capoluogo emiliano, «potrebbe essere una leva di marketing enorme, perché l’idea esiste già, non serve neanche comunicarla - continua Valdiserra -. Io propongo un tipo di approccio chiamato ricalco e guida. Chi arriva in una città straniera in genere al ristorante ordina il piatto che pensa essere tipico del luogo; nel caso degli spaghetti alla bolognese quando i turisti lo chiedono di solito si trovano davanti a un muro, perché i ristoratori e i camerieri dicono che non esiste e che non lo fanno. Occorrerebbe cambiare l’atteggiamento in chiave più funzionale: anziché opporsi alla richiesta, chef, ristoratori e personale di sala potrebbero assecondare il cliente, facendogli provare il piatto richiesto, per poi proporre anche la pasta fresca spiegando che è quella che si usa di solito con il ragù. In questo modo si farebbe lavorare uno strumento di marketing già installato nella mente del consumatore per valorizzare le eccellenze del territorio».

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