Sous chef, protagonisti nell’ombra

I secondi dei grandi chef. Lavorano tanto, bene e non sempre ricevono il plauso riservato ai “primi”. sono i sous chef. Conosciamoli meglio

Mandano avanti l’attività quotidiana della cucine del ristorante. Luogotenenti capaci e fidati, sono giovani e pieni di voglia di fare, oltre che di talento. Stiamo parlando dei sous chef o “secondi”, figure sempre più di rilievo nei ristoranti italiani, specie oggi che uno chef di successo è per gran parte del tempo impegnato all’esterno per eventi, consulenze o altre attività imprenditoriali oppure occupato con l’ennesima intervista, la registrazione di una trasmissione tv o la preparazione di un libro.

I sous chef lavorano nell’ombra, lontano dalle ribalte mediatiche, e per lo più sono conosciuti solo dagli addetti ai lavori. Sulle loro spalle, però, ricade la responsabilità di far funzionare senza intoppi la macchina del ristorante, giorno dopo giorno. Una palestra formidabile, che richiede impegno e sacrifici, ma che fornisce anche tanta esperienza. E che può trasformarsi in un formidabile trampolino di lancio, come dimostrano i casi di tanti secondi illustri diventati a loro volta chef di successo, come Matteo Baronetto, per anni spalla di Carlo Cracco e oggi firma del Ristorante del Cambio di Torino, dove ha conquistato una stella Michelin. Accade anche che sous chef talentuosi raccolgano il testimone dalle mani dei patron, come è accaduto all’Enoteca Pinchiorri di Firenze, dove Annie Feolde ha lasciato il timone al tandem composto da Italo Bassi e Riccardo Monco e, da due anni, al solo Monco. Oppure al ristorante Aimo e Nadia di Milano, dove oggi la cucina è guidata da Fabio Pisani e Alessandro Negrini, già allievi di Nadia Moroni.

Ma per tornare ai sous chef: quali sono i loro compiti, quali le responsabilità? «Il sous chef è colui che cerca di assistere in tutto lo chef - è la definizione di Pasquale Fimognari, secondo di Marco Stabile al ristorante Ora d’Aria di Firenze -. Mi occupo dell’organizzazione della cucina, degli ordini, delle prenotazioni, filtro le persone che si presentano alla porta e chiedono dello chef. Le cose da fare sono tante, io cerco di supportare lo chef per quanto posso, poi ci sono cose che può fare solo lui». Tra i compiti di Fimognari anche quello di gestire le risorse umane e valutare come gli ultimi arrivi si inseriscono nella brigata. «Ai nuovi chiediamo per prima cosa che abbiano voglia di imparare. Se c’è disponibilità e vediamo potenzialità di crescita, la formazione poi gliela diamo noi e ci impegnamo per farlo andare avanti».

«Il sous chef deve essere un motivatore - concorda Luca De Santi, sous chef e chef pasticcere del Ratanà di Milano al fianco di Cesare Battisti - e fare da collante della squadra, il team building dev’essere continuo.  Rispetto al passato, un capo non può semplicemente dare ordini o imporre le proprie idee, oggi il ruolo di chi guida è capire come far esprimere al meglio chi lavora con lui, come valorizzarne le capacità. È uno scambio continuo». Il sous chef deve anche avere la dote dell’umiltà. «Mi ritrovo a fare i lavori più sporchi - confessa De Santi -, ma preferisco che i ragazzi si cimentino su compiti più impegnativi, come pulire un pezzo di carne, per imparare». E che cosa ha apportato la sua esperienza di pasticcere a questo ruolo? «Più tecnica, forse - dice De Santi -. La pasticceria richiede precisione, ordine, organizzazione, metodo».

Che nelle cucine si impari in fretta lo dimostra la carriera di Michele Lazzarini, classe 1991, che quattro anni fa è entrato nelle cucine del St. Hubertus, il ristorante gourmet dell’Hotel Rosalpina di San Cassiano (Bz), per due anni ha passato tutte le partite ed è diventato il braccio destro di Norbert Niederkofler, che dell’albergo è executive chef. «Norbert chiede soprattutto organizzazione - rivela Lazzarini -, ti lascia in mano tutto e ti dà molta responsabilità. Il mio compito è portare avanti la sua cucina secondo la filosofia ‘cook the mountain’». Lazzarini coordina una brigata di 15 persone, età media 20-22 anni. La sua giovane età gli ha creato qualche problema? «No, in una squadra ci sono sempre persone più anziane, ma questo non è un problema - racconta -. Piuttosto, all’inizio è stato difficile costruire una squadra affiatata e rodata. La brigata è tutto, devi poterti fidare di loro e loro devono sapere quello che vuoi. Una volta che hai costruito il team giusto, hai vinto». E che cosa chiede a chi lavora con lui? «Soprattutto passione, voglia di sperimentare e crescere».

Il rapporto con lo chef è cruciale. Occorrono fiducia reciproca e identità di intenti. Federico Dell’Omarino lavora con Antonio Guida da oltre 15 anni e da una decina è il suo sous chef, prima al Pellicano di Porto Ercole (Gr) e da due anni al Seta del Mandarin Oriental di Milano. Nel corso degli anni, racconta Dell’Omarino, «c’è stata una naturale divisione dei compiti. Io seguo di più l’organizzazione della cucina, ultimamente anche la scelta dei prodotti, e ci aiutiamo nella proposta di piatti nuovi. Abbiamo gusti simili ma diversi. Ogni tanto discutiamo, certo, tra di noi c’è un rapporto sano. Del lavoro con lui apprezzo il fatto che non ci si fermi mai, c’è sempre evoluzione, non ci si annoia. Sono cresciuto con lui, mi ha insegnato tanto, in particolare mi ha trasmesso la curiosità». Dell’Omarino si occupa anche di tutti i colloqui e delle assunzioni della brigata di cucina, che conta 35 persone e 4 sous chef, due per il ristorante gourmet Seta, uno per il Bistrot e uno per il room service. Tanti compiti, dunque, per giornate molto piene e, soprattutto, lunghe. Quanto lavora un sous chef? Tanto.

De Santi “attacca” alle 8.30 del mattino: «Entro in pasticceria per controllare i lavori più importanti, poi mi sposto in cucina». Gestione, arrivi delle materie prime e controllo degli ordini, controllo dei due menu del giorno, uno stacco  nel pomerigigo e poi di nuovo in pista per la mise en place serale. Finisce verso le 12.30-1 di notte, quando fa partire gli ordini del fresco per il giorno successivo. Comincia alle 8.30 anche Dell’Omarino, ancor prima Lazzarini, alle 7.30, ed entrambi finiscono intorno a mezzanotte.

Fimognari normalmente arriva al ristorante alle 9.30 del mattino e, tranne un paio di ore di stacco nel pomeriggio, continua fino all’una di notte circa. «Tante volte è più lo stress mentale che stanca, non il lavoro in sé - confida Pasquale -. È un lavoro che richiede tanti sacrifici, ma dà anche tante soddisfazioni».

Dunque, si impara molto, ma quali sono le soddisfazioni immediate? Per esempio, qual è la libertà creativa di un sous chef? Ogni situazione è diversa. «Lo chef mi coinvolge tanto nella creazione dei nuovi piati - dice Fimognari -. Io cerco di interpretare il suo pensiero, anche se l’idea del piatto è sempre sua». «Da un anno circa ho un junior sous chef - racconta Lazzarini -, la cucina la gestisce lui, così io ho il tempo di sperimentare piatti nuovi e di andare a conoscere i produttori». E, spesso, di seguire Niederkofler in giro per il mondo, ai vari eventi gastronomici cui partecipa.

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