Ricchi investitori per la ristorazione

Al mondo della finanza la ristorazione italiana piace. L'attuale popolarità del food&beverage e l'esplosione dell'apertura di locali hanno attirato l'attenzione degli investitori verso un settore prima raramente preso in considerazione

Businesswoman with financial symbols coming from her hand
Al mondo della finanza la ristorazione italiana piace. L'attuale popolarità del food&beverage e l'esplosione dell'apertura di locali hanno attirato l'attenzione degli investitori verso un settore prima raramente preso in considerazione

Negli ultimi anni l’affermarsi di concept moderni e di catene da una parte, la grande liquidità dei mercati finanziari dall’altra, hanno creato le condizioni ideali per facilitare l’ingresso di investitori specializzati nel capitale di quei marchi di ristorazione che presentano un concept con un’organizzazione ben strutturata, conti in ordine, buona redditività e buone potenzialità di replicabilità in Italia e all’estero. Un’evoluzione che sta contribuendo a trasformare quello che fino a pochi anni fa era un settore sostanzialmente a gestione familiare o individuale.

Di recente abbiamo assistito a numerose operazioni in cui investitori istituzionali italiani e stranieri, fondi di private equity in primis, hanno messo sul piatto fior di milioni per entrare nel capitale di insegne di ristorazione di varia grandezza. Risorse fresche che sono servite per lanciare programmi di consolidamento ed espansione. Nemmeno il rallentamento dell’economia di questi ultimi mesi sembra scoraggiare questo interesse, anche se oggi gli investitori appaiono più cauti.

Alcuni degli ultimi interventi

Ricordiamo alcune delle operazioni portate a termine nel 2018. A marzo, Sebeto - il gruppo cui fanno capo marchi come Rossopomodoro, Rossosapore, Ham Holy Burger e Anema & Cozze - è stato ceduto dal fondo inglese Change Capital Partners, che aveva acquisito una quota di maggioranza nel 2011, al fondo OpCapita. All’epoca della transazione, Sebeto contava circa 140 ristoranti in una dozzina di Paesi e un fatturato lordo, incluso il franchising, di 150 milioni di euro. La nuova proprietà ha subito provveduto a un rafforzamento della struttura manageriale di Sebeto, con l’ingresso, a giugno 2018, del nuovo ad Roberto Colombo, proveniente da Autogrill, e di nuove figure.

A luglio, la catena fast casual Panini Durini - 16 locali a Milano e in shopping center, 10,3 milioni di euro di fatturato e 150 dipendenti nel 2018 - è stata acquisita dal club deal Astraco, con un pool di 11 investitori. Grazie allo slancio allo sviluppo dato dai capitali apportati, sono in programma sette nuove aperture per il 2019, tra cui Pavia e Bergamo.

Lo scorso ottobre, Langosteria, marchio molto noto a Milano, città in cui è presente con diversi format (ristorante, bistrot, cafè), ha visto l’ingresso nel capitale con una quota di minoranza della famiglia proprietaria del marchio di abbigliamento Moncler. L’investimento è strumentale alla crescita internazionale del marchio.

A novembre è stato annunciato che l’insegna fast casual a tema pasta Miscusi ha aumentato il capitale con l’iniezione di 5 milioni di euro da parte del fondo MIP I, lanciato da Milano Investment Partners, sgr partecipata da Angel Capital Management di Angelo Moratti. Fondata nel 2016, Miscusi in poco meno di due anni di attività aveva raggiunto un fatturato superiore ai 4,5 milioni di euro con tre locali, con un tasso di crescita medio mensile del 20% e una redditività del singolo ristorante vicina al 30%. Il piano di espansione prevede nuove aperture in Italia e nell’area del Mediterraneo.

I diversi sviluppi

Come si vede, l’investimento può assumere diverse forme. La catena Panino Giusto, per esempio, lo scorso anno ha annunciato di essere pronta ad aprire il proprio capitale a family office e partner industriali per sostenere lo sviluppo. In questi mesi, sta valutando l’operazione con un family office che “condivide i suoi valori” e conta di chiudere l’operazione entro il 2019. Questi i numeri di Panino Giusto a fine 2018: 33 milioni di euro di fatturato, 450 dipendenti, 32 locali di cui sette fuori dall’Italia.

Lo scorso anno si è parlato molto anche di passaggi di mano che ancora non si sono materializzati. Per esempio, rumors si sono rincorsi intorno a Cigierre, che controlla 345 ristoranti, di cui 36 aperti lo scorso anno, per un fatturato di rete pari a 482 milioni nel 2018 (fatturato 2017: 354 milioni; fatturato 2016: 300 milioni di euro). Il portafoglio Cigierre comprende un mix diversificato di marchi: Old Wild West, America Graffiti, Wiener Haus, Pizzikotto, Shi’s e, ultima arrivata, la catena di ristoranti e cocktail bar a tema nippo-brasiliano Temakinho (10 locali in Italia e all’estero, 25 milioni di ricavi). La maggioranza di Cigierre appartiene al fondo di private equity inglese BC Partners, che lo ha acquisito nel 2015 e che, a tre anni dall’ingresso, ha cominciato a valutare varie opzioni di uscita per valorizzare l’investimento, compresa - pare - la quotazione in borsa.

Nulla di fatto, ancora, anche per i mozzarella bar Obicà, nel cui capitale il fondo inglese Neo Investment Partners detiene una quota superiore all’80%. A sei anni dall’investimento, il fondo avrebbe deciso di monetizzare mettendo sul mercato la catena, che conta su 24 punti vendita, di cui 10 in Italia e 14 all’estero. Il piano industriale di sviluppo è di 100 nuove aperture nei prossimi cinque anni.

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