Gli orari di apertura del ristorante sono liberi (salvo ordinanze del Sindaco)

Per i ristoranti non esistono più obblighi al turno di riposo settimanale. In nessuna regione

La grande novità sugli orari dei ristoranti è stata introdotta con la Legge n. 214/2011, che ha convertito in legge il Dl n. 201/2011; tale legge ha stabilito la liberalizzazione degli orari delle attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande, quindi anche dei ristoranti, ispirandosi alla normativa comunitaria che ha stabilito che la determinazione degli orari giornalieri di attività spetta al singolo esercente. Dunque l’orario di un ristorante è scelto liberamente dall’imprenditore, che può anche diversificarlo nel corso della giornata e dell’intera settimana; inoltre può stabilire i giorni di attività e non è obbligato a un giorno di chiusura settimanale.

Secondo quanto previsto dalla maggior parte delle leggi regionali sulla somministrazione, il ristoratore può rimanere chiuso senza comunicare la chiusura della propria attività al Comune fino a 30 giorni consecutivi; dopo tale periodo, se volesse proseguire nella chiusura dovrà comunicarlo al Comune.
L’attività può essere sospesa al massimo per 12 mesi consecutivi, salvo proroga che il Comune potrà concedere per documentati motivi. Trascorso il tempo massimo di sospensione, il Comune ha il diritto di revocare l’autorizzazione o pronunciare la decadenza degli effetti amministrativi della Scia.
La legge nazionale di liberalizzazione degli orari di attività di somministrazione è valevole in tutte le regioni, comprese quelle a statuto speciale (Valle D’Aosta, Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige), poiché la materia volta a garantire la libera concorrenza e determinazione dei servizi essenziali omogenei sul territorio nazionale appartiene alla competenza dello Stato.

Il Ministero dello Sviluppo Economico, nella circolare Mise n. 3644 del 28 ottobre 2011, ha ritenuto però che “eventuali specifici atti provvedimentali, adeguatamente motivati e finalizzati a limitare le aperture notturne o a stabilire orari di chiusura correlati alla tipologia e alle modalità di esercizio delle attività di somministrazione di alimenti e bevande per motivi di pubblica sicurezza o per specifiche esigenze di tutela (in particolare in connessione alle problematiche connesse alla somministrazioni di alcolici), possano continuare a essere applicati e in futuro adottati, potendosi legittimamente sostenere che trattasi di vincoli necessari a evitare danno alla sicurezza e indispensabili per la protezione della salute umana, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale, espressamente richiamati, come limiti all’iniziativa e all’attività economica privata ammissibili dall’articolo 3, comma 1, del decreto legge n. 138/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 148/2011”. Ciò significa che il Sindaco può, con una ordinanza, limitare gli orari di apertura notturni, stabilendo un limite massimo. Tali Ordinanze, se adeguatamente motivate con un interesse pubblico (il cosiddetto “motivo imperativo di interesse generale”, come il riposo dei residenti e la quiete pubblica, la prevenzione della diffusione degli alcolici, il traffico veicolare ecc.) vanno rispettate.
Ferma restando la liberalizzazione degli orari, restano in vigore tutte le norme che prevedono a carico dell’esercente l’obbligo di  “rendere noto al pubblico l’orario di effettiva apertura e chiusura del proprio esercizio mediante appositi cartelli o altri mezzi idonei di informazione, ben visibili all’esterno” (L.n. 287/1991, articolo 8, comma 3). Resta anche l’obbligo di comunicare all’ufficio competente del Comune (in genere il Suap o la Polizia Municipale) ogni variazione di orario che si intenda effettuare, anche durante il giorno, rispetto a quello scelto e indicato nel cartello.

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