Il Liberty a Milano: come adeguarsi al mercato senza mai perdere l’identità

A un anno esatto dal restyling del ristorante e del menu, abbiamo incontrato Andrea Provenzani, chef patron del Liberty, indirizzo di riferimento a Milano da oltre 15 anni

Quando a Milano si parla di tradizione, ancor più se in una sua versione elegante in cui vengono impiegati prodotti d’alta gamma, uno degli indirizzi di riferimento è Il Liberty.
Nel 2002, quando lo chef e patron Andrea Provenzani ha aperto questo ristorante, andando a sostituire il ristorante francese Le Petit Prince, aveva ben chiara la sua idea di cucina e di esperienza che avrebbe voluto servire, fatta di gesti antichi e attenzione alla qualità, di ricerca in chiave attuale di una sua storia che diventasse in qualche modo collettiva. A giudicare dai risultati, in quindici anni l’obiettivo è stato raggiunto, visto che Provenzani e la sua squadra vantano un numero notevole di estimatori che hanno fatto del ristorante in viale Monte Grappa la scelta sicura per cene di coppia, serate tra amici o di lavoro e, se tradizione chiama tradizione, per le festività. «Siamo nati in un quartiere che è cresciuto insieme a noi - spiega lo chef a testimonianza dell’importanza strategica della location - e si è evoluto in modo impressionante ed ora se ne parla in modo sempre più positivo».

Fin dagli esordi gli spazi de Il Liberty si sono distinti per il loro aspetto intimo e discreto. Elementi rimasti invariati anche nel recente restyling voluto dal padrone di casa e firmato dall’architetto Carlo Donati, che ha voluto dare un taglio più internazionale, con gli spazi a disposizione sfruttati al meglio (si parla di circa 70 mq compreso il soppalco), tra pareti blu notte e linee dal design essenziale, per un risultato contemporaneo, in un gioco tra passato e presente che continua in altri dettagli: dalle pareti in mattoni al vetro fumè di scale e balconata, dall’ottone brunito delle lampade al moderno gin bar a vista. A questo cambiamento estetico, si è accentuata la volontà di proporre una tradizione in grado di accogliere contaminazioni esterne e di farle entrare nel menu: «Continuiamo ad essere curiosi, ci documentiamo su tendenze e tecniche come il sottovuoto. Ho iniziato a utilizzarla 10 anni fa e me ne servo soprattutto per carne, pesce e marinature. La carne è sicuramente il fiore all’occhiello di questa tecnica», sottolinea Provenzani.

E così, se da un lato i piatti storici de Il Liberty, come la Parmigiana di melanzane, i Bucatini alle doppie acciughe (quelle sott’olio vengono sciolte nel condimento, quelle fresche vengono passate in una panatura al finocchietto), il Vitello tonnato (appena rosolato, con salsa a base di ventresca di tonno e capperi fritti), trovano periodicamente modo di rinnovarsi, dall’altro fanno il loro ingresso in un menu che si rinnova regolarmente, portate con ingredienti che strizzano l’occhio a sapori più esotici come la Pescatrice, ceci e cipollotto di Tropea (carpaccio di pescatrice marinata, hummus di ceci, coriandolo e cipollotto) tra gli antipasti, i Cappelletti ripieni di carbonara (con crema di piselli al wasabi, germogli di piselli e gamberi rossi di Mazara) tra i primi, Vapore (pesce, crostacei e molluschi cotti a vapore con ortaggi, limone candito salato, pesto leggero e pomodoro al pane aromatico) tra i secondi.
Certo, se si vuole andare sul sicuro, in carta ci sono i mondeghili. Ancora, si può optare per I Classici, menu di quattro portate con i pezzi forti firmati Provenzani: Carciofo croccante ripieno di pecorino Siciliano Calcagno, Zucchine, menta e olive; Spaghettoni Benedetto Cavalieri al cipollotto brasato leggermente piccante; Costoletta alta di vitello “rosa” alla milanese, patate croccanti e pomodoro dolce; Libertyramisù (una rivisitazione del tiramisù con crema al mascarpone, gelato al caffè, crumble alle nocciole e cacao). Il tutto per 55 euro, con la possibilità, a 15 euro aggiuntivi, di abbinare vini e birre ad hoc, a seconda dei propri gusti (menu disponibile per tutto il tavolo con acqua e caffè esclusi).

Per gli impavidi c’è anche il “menu alla cieca” - disponibile nelle versioni di tre, cinque o sette portate - tutto basato sulla fantasia dello chef. Infine accanto alle 120 etichette di vino e alle birre artigianali, tutti eventualmente consigliati dal sommelier, ci sono i calici da dessert, che vanno dai 7 (Malvasia passito Colli Piacentini, 2013, Azienda Il Negrese) ai 12 euro (Sherry dolce Don Px Gran Reserva, 1983, Azienda Bodegas Toro Albalà). Gli aperitivi, tra i 7 e i 10 euro, spaziano dall’Hugo al più classico Gin Tonic, il preferito di Andrea. C’è il free wi-fi, dettaglio ancor troppo spesso trascurato nei ristoranti di casa nostra.

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