
Riso Amaro è un messaggio, una scommessa, un manifesto. Racconta la terra, il mondo contadino, i sapori, gli ingredienti: con l’interpretazione e il tocco di un giovane chef, Maurizio De Filippis, classe 1983, esperienze in importanti cucine, da Roma fino a Londra. “Riso Amaro” è anche il titolo di un film, un cult del neorealismo italiano: una storia di mondine, di risaie, di lavoro umile, con un finale tragico e una spettacolare Silvana Mangano.
La pellicola fu girata in Piemonte, nel vercellese, ma il ristorante - non a caso - si trova a Fondi (Latina), nel paese natale del regista Giuseppe De Santis; autore, poi, l’anno successivo, di “Non c’è pace tra gli ulivi”, che nel ’50 lanciò Lucia Bosè, attrice italiana naturalizzata spagnola.
I nomi e le insegne si scelgono con attenzione e Fondi, cittadina anche dello chef, è un ideale set gastronomico: sia per la tradizione contadina (è l’ultimo lembo della bonifica dell’agro pontino, durante il fascismo), che per la presenza del Mof, il Mercato Ortofrutticolo Fondi, tra i più grandi d’Italia, vero snodo logistico di frutta e verdura per l’intero centro sud.
Fondi è, inoltre, un importante paese del Lazio meridionale, in odor di Campania, a pochi km di strada da note località di villeggiatura - Terracina, Sperlonga, Gaeta - sotto i monti Aurunci, a 10-15 minuti d’auto dal mare, dove si concentrano i flussi.
Aperto quattordici anni fa da De Filippis, dal 2014 il ristorante Riso Amaro si trova a due passi dal Castello Caetani, porta d’ingresso al corso e al centro storico. Un ritratto in bianco e nero del regista Giuseppe De Santis accoglie gli ospiti all’ingresso, mentre nella sala principale risalta la Mangano durante una scena del film, qui in una foto appesa in un ambiente sobrio, dai toni chiari: il parquet color avana in gres porcellanato, un paio di vetrinette e dispense di legno, i tavoli scuri, le sedute color panna e pochi accenni di design - lampade, specchi, posate giganti “da parete” - che contrastano con lo stile tradizionale ed elegante della sala. All’esterno, poi, pochi tavoli per le serate estive.
Uno stile preciso

«Proporre il nostro stile di cucina in un territorio abituato a una tavola piuttosto tradizionale non è stato facile - racconta lo chef Maurizio De Filippis -. I primi anni sono stati difficili, ma pian piano siamo riusciti a conquistare un nucleo di clientela locale, che ci riconosce e apprezza. In estate lavoriamo molto con i turisti balneari, che vengono a trovarci perché hanno sentito parlare di noi o perché, semplicemente, cercano una cucina gourmet».
Il menu
Il menu di Riso Amaro riflette una visione di territorio rivisitata, a volte in modo più creativo, altre con un tocco meno spinto. Propone, ad esempio, piatti come la Lasagnetta di seppia, zabaione salato, limone nero, una ricetta in cui De Filippis utilizza tutte le parti della seppia spellata: le zone laterali del corpo principale, la testa, il fegato e il nero per farne un ragù di base sfumato al vino rosso, concentrato e intenso nel sapore; la parte centrale, invece, cotta a 65 °C per togliere tenacità e utilizzarla come una “sfoglia”.
Il piatto è completato con una gelatina di asparagi verdi e una spuma di zabaione salato e vino bianco, che aggiunge freschezza e sapidità.
Un’altra buona idea è la Pettola d’Amare, crostacei, calamaretti e cicoria di campo: un piccolo maltagliato acqua e farina (del pastificio artigianale Mani in Pasta), che la tradizione vorrebbe servito con legumi cotti in pignatta. Lo chef, invece, lo cucina “risottato”, con crema di cannellini e bisque di crostacei, aggiunge sul finale calamaretti, gamberi bianchi di Ponza, crema di cicoria di campo e un infuso di limone trombolotto (azienda Fabio Stivali, di Sezze).
Anche carne
Per andare sulla carne troviamo poi la Pastilla d’agnello, cacio e ovo, gelato di cipolla in carpione, altra ricetta ispirata alla tradizione dell’Italia centrale. In questo caso, De Filippis prepara un roll col coscio d’agnello marinato e con la spalla un fagottino fritto; completa con spuma cacio e ovo e cipolla agrodolce e gelato di cipolla in carpione. Originale e fresco anche il dolce Pinzimonio, semifreddo di olio evo, gelee di limone, verdure agrodolci e granita di sedano, un soprendente dessert vegetale che esalta le verdure di territorio e l’olio locale.
La provenienza dei prodotti
La cucina attinge il più possibile alle terre della bonifica per la ricerca dei prodotti. Per gli ortaggi c’è la produzione dell’azienda agricola di famiglia, specializzata in pomodori e olive di cultivar Itrana, con cui lo chef produce un olio evo sempre presente a tavola, accanto a un olivo bonsai e a una seconda bottiglia, questa del frantoio La Cesa - Tenuta dei Ricordi, della vicina Lenola (Lt).
La spesa si integra con acquisti mirati ai banchi del Mercato di Fondi e alla frutteria del cognato Patrizio Fargiorgio.
Per la carne lo chef si serve da più macellerie: Luca Carni, di Lenola, per tagli di frisona, suini, conigli e così via; per le carni bianche a Fondi da Carni Alternative, di Franco Petrillo e alla Macelleria Mattei, anche produttrice di salumi artigianali, utilizzati in cucina per qualche guarnizione. Il pesce è selezionato dallo chef nell’azienda ittica Purificato di Formia.
Infine i latticini, tra cui la mozzarella di bufala campana Dop, dal caseificio Porta Roma, di Fondi, e i germogli dalla P&B, azienda fondana che vende in Italia la Koppert Cress. ≈