Quattro chef raccontano l’evoluzione di un lavoro sempre più etico, rivolto al territorio e attento agli sprechi. E che spesso si integra al sistema turistico dell’area. Quattro racconti da cui prendere spunto
Negli ultimi anni il concetto di sostenibilità ha assunto un ruolo centrale nella ristorazione, trasformandosi da tendenza a necessità. Non si tratta più soltanto di ridurre lo spreco, ma di costruire un modello di cucina che dialoghi con il territorio, rispettando i cicli della natura e le comunità che lo abitano. Tra i pionieri di questa visione c’è Norbert Niederkofler, chef tre stelle Michelin del ristorante Atelier Moessmer di Brunico, ideatore di Cook the Mountain, un manifesto che ormai dal 2008 propone una cucina radicalmente legata all’ambiente alpino e alla sua biodiversità.
«Ho iniziato a comprendere la sostenibilità quando mi sono reso conto che la cucina non può esistere senza un territorio sano - racconta Niederkofler -. Non è stata una decisione improvvisa, ma un percorso: ogni ingrediente ha una storia, un impatto e una responsabilità. Da lì è nato il desiderio di cucinare in armonia con la natura, non contro di essa».
Cook the Mountain
Il progetto Cook the Mountain nasce proprio da questa consapevolezza. «Quando chiedevo ai clienti perché venissero in vacanza nelle nostre valli ottenevo sempre la stessa risposta: le montagne, l’aria, il cibo. E io mi sono reso conto che stavo sbagliando tutto: proponevo foie gras e pesce di mare, piatti imparati nei miei viaggi, ma lontani da qui. Così ho deciso di ricominciare da zero, rinunciando a ingredienti simbolo della cucina internazionale come limoni, olio d’oliva o spezie mediterranee. Quella che sembrava una limitazione è diventata una fonte inesauribile di creatività».
Un modello di responsabilità
Oggi Cook the Mountain non è soltanto un approccio gastronomico, ma un modello di responsabilità riconosciuto a livello internazionale: una cucina etica, sostenibile e profondamente radicata nell’identità del territorio alpino. Secondo lo chef, la sostenibilità si costruisce a partire da scelte quotidiane: «Piccoli gesti fanno la differenza: acquistare solo ciò che serve, rispettare la stagionalità, utilizzare tecniche di conservazione tradizionali, valorizzare ogni parte di un ingrediente. Non esistono scarti, ma numerose possibilità ancora non esplorate per poterli utilizzare».
In cucina col territorio
La collaborazione con contadini, allevatori e artigiani locali è parte integrante del manifesto. «Senza di loro non esisterebbe Cook the Mountain. Sono i veri custodi della biodiversità alpina. La cucina non è mai un atto solitario, ma è il risultato di una comunità che lavora insieme». Un legame, questo, che diventa anche sociale: per Niederkofler sostenibilità significa infatti non soltanto rispetto per la natura, ma anche per le persone, dal produttore al commensale.
Fondamentale è anche il ruolo educativo dell’alta cucina: «Abbiamo più responsabilità, perché abbiamo visibilità e influenza e non possiamo limitarci a stupire: ogni piatto deve trasmettere un messaggio chiaro e coerente». E il lusso? «Il vero lusso oggi non è l’ostentazione, ma l’autenticità ed eccellenza significa rispetto, per l’ingrediente, per chi lo produce, per chi lo consuma». Sul piano economico, la sostenibilità è un costo? «All’inizio può sembrare più dispendioso lavorare secondo certi criteri - dice lo chef -, ma a lungo termine se valorizzi i prodotti locali riduci le importazioni, se usi tutto e sprechi meno, se investi nei rapporti con i produttori, crei un’economia circolare che sostiene ognuno di noi».
Nuova mentalità e nuovo cliente
Le sfide per la ristorazione del futuro, conclude lo chef, sono due: cambiare mentalità ed educare il cliente. «Dobbiamo smettere di pensare in termini di abbondanza illimitata e tornare all’equilibrio». Guardando al 2050, Niederkofler immagina una ristorazione capace di adattarsi ai cambiamenti climatici senza perdere identità e che sia poi in grado di utilizzare la tecnologia per rispettare di più la natura, mettendo al centro la comunità, non solo il piatto.
Qui la sostenibilità si intreccia con un forte legame con il territorio toscano. E in cucina - che porta l’impronta di Alessandro Rossi executive chef del Gabbiano 3.0 di Marina di Grosseto - le materie prime del Chianti e dell’arcipelago toscano si uniscono ai prodotti dell’orto biodinamico situato proprio accanto al ristorante. «Lavorare con un orto biodinamico a pochi metri dalla cucina ci permette di eliminare parte del trasporto delle materie prime e di realizzare piatti realmente stagionali», racconta Neri. L’orto fornisce ortaggi, erbe aromatiche e fiori eduli, oltre a specie particolari come salicornia e finocchio di mare, coltivate in vasche che ricreano un microclima marino.
Gli altri ingredienti provengono da una rete di fornitori locali selezionati per la loro sensibilità ambientale: il pesce arriva dal Mar Tirreno, i formaggi e le carni da piccole aziende del territorio. «Crediamo in una filiera corta, fatta di persone che condividono i nostri valori», dice lo chef. Fondamentale è poi la lotta agli sprechi, che diventa parte della creatività. Come per il Carciofo alla brace con zabaione al caffè, ispirato all’esperienza di Neri a La Madia di Pino Cuttaia. Qui ogni parte viene recuperata: il cuore farcito con crema, le chips si fanno croccanti, le foglie più coriacee, attraverso un doppio processo di fermentazione, diventano una salsa.
2Silvia Banterle
Chef Stilla, Colognola ai Colli (Vr)
Nel ristorante della chef Banterle la sostenibilità è un principio che guida ogni scelta. «Per noi la sostenibilità si concretizza su diversi livelli, ovvero con la ricerca di materie prime buone e sostenibili e nella costruzione del menu. Ci rivolgiamo ad artigiani che conosciamo personalmente e di cui sappiamo bene l’operato».
Non è però solo una questione di ingredienti. Al Stilla la sostenibilità è anche sociale e si traduce in orari di lavoro equilibrati e in un forte coinvolgimento del personale. Lo staff partecipa non solo attivamente alla creazione del menu, ma anche alla gestione della sala e alle scelte sull’arredamento. «Andiamo insieme a visitare fornitori o altri ristoranti che lavorano con la stessa attenzione, perché crediamo che il confronto diretto sia un modo per crescere e migliorare. Per noi significa costruire un ambiente di lavoro che sia davvero a misura di persone».
Il tema degli scarti è affrontato con rigore. «Non abbiamo l’ossessione della forma geometrica, perché significherebbe buttare via troppo. La carne, presente in misura minima, proviene solo da una macelleria locale che certifica allevamenti allo stato brado. Tra il pescato, molluschi a guscio e pesci di montagna come trote e salmerini. Le verdure restano le protagoniste, con una preferenza per prodotti italiani e locali.
3Caterina Ceraudo
Chef Dattilo, Strongoli (Kr)
Il ristorante nasce all’interno dell’azienda agricola fondata dal padre di Caterina, Roberto, nel 1973, ed è stata tra le prime realtà biologiche in Calabria. Qui la sostenibilità è davvero una filosofia di vita. «La sostenibilità oggi è un argomento spesso abusato. Ci vuole concretezza e il saper di affrontare una strada lunga, che matura con il tempo». L’azienda è biologica dal 1997, è autosufficiente grazie al fotovoltaico, e segue un approccio circolare che riduce sprechi e valorizza ogni risorsa. Nel menu, frutta e verdura arrivano dall’orto di famiglia, mentre formaggi, carne e pesce provengono da produttori locali scelti con cura. «Il prodotto non deve essere per forza a km zero, ma frutto di artigiani che condividono la nostra stessa filosofia. Ogni fornitore che entra a casa Ceraudo deve pensarla come noi». Anche gli scarti diventano ingredienti importanti ed è così che la frutta in eccesso viene trasformata in marmellate e succhi.
«La sostenibilità ha un costo - osserva Ceraudo - ma nel corso del tempo diventa un beneficio perché insegna il consumo consapevole». Una clientela sempre più informata coglie il legame tra ciò che vede nei campi e ciò che trova nel piatto.
L’attenzione si riflette anche negli eventi: se restano quantità di acqua o vino nelle bottiglie, non vengono buttate, ma travasate e riutilizzate internamente per lo staff.