Tecniche e nuovi ingredienti ampliano la dispensa dei ristoranti

Il fine dining esplora nuove strade: cibi rari, tecniche antiche e ingredienti valorizzati integralmente per ridurre gli sprechi. Ecco così che fermentazioni, coltivazioni idroponiche o foraging danno vita a nuovi insaporitori e permettono di riscoprire ingredienti come erbe di laguna, spine di pesce, alghe o specie ittiche aliene. Le testimonianze degli chef

Uno dei trend più caratterizzanti dell’attuale ristorazione gourmet è la rivalutazione dell’elemento vegetale, che viene trattato non più come un semplice contorno bensì come vero protagonista del piatto. Tra gli chef che hanno fatto di questo approccio il manifesto di una nuova filosofia c’è Antonio Chiodi Latini, che a Torino propone “underground”, una proposta pensata per uscire dagli schemi rigidi e dalle etichette respingenti del vegetarianesimo o veganesimo e rendere la cucina vegetale appetibile per chiunque.

Controllare il processo di maturazione di ogni vegetale

«Per natura tutte le verdure di fatto sono amare - dice Chiodi Latini -, hanno sapori pungenti a cui il pubblico non è più abituato. Ma con gli studi che conduco da otto anni ho imparato a controllare il processo di maturazione di ogni singolo vegetale - governato sottovuoto o in camera oscura - per capire quale è il momento migliore per usarlo perché ha raggiunto le caratteristiche organolettiche e di consistenza ideali per essere trasformato in una ricetta, per essere crioessiccato - cioè liofilizzato a -30 °C - oppure messo in salamoia e acido citrico e poi trasformato in un prodotto stabilizzato conservabile a lungo».

I risultati di questo lavoro sono l’Emporio Vegetale - una linea di creme, salse, polveri, insalate, polpette e burger e altri prodotti pronti all’uso - e i menu in continuo movimento che lo chef nel suo ristorante varia ogni 35-40 giorni, suddivisi in Interpretazioni da 5, 7 o 9 portate a cui si può aggiungere L’orto da bere, un percorso di pairing con macerati analcolici.

L’essenza di un territorio

Per far assaporare l’essenza spontanea del loro territorio, oggi molti chef si impegnano poi a coltivare il proprio orto. Uno di questi è lo chef Andrea De Lillo, del Nin di Brenzone sul Garda (Vr): «Coltivo personalmente con tecnica idroponica i germogli che utilizzo in cucina, nonché le erbe aromatiche che crescono in quello che io chiamo Giardino dell’Eden, l’orto di pertinenza del ristorante, a cui presto si aggiungerà una piccola produzione di mirtilli, fragole, lamponi e pomodori presso la vicina azienda agricola».

 

Le erbe di Laguna

Spostandosi sul mare, lo chef Daniele Zennaro del ristorante Algiubagiò di Venezia porta avanti la stessa filosofia utilizzando le erbe spontanee della Laguna e della barena veneta e quando può si dedica personalmente alla raccolta: «Utilizzo questi prodotti in diverse forme e declinazioni cosi da donare a ogni piatto una forte caratteristica che sottolinei il legame con il territorio. Per esempio il finocchio di mare è un insaporitore fondamentale per i crudi del nostro signature Venezia Xe un Pesse; la salicornia (o asparago di mare) è utilizzata fritta in accompagnamento alle moeche di granchio blu e il santonico (o Artemisia cretacea) è un assenzio marittimo locale dall’aroma balsamico che ben si presta alla realizzazione di un sorbetto servito come predessert. Anche la pasta stessa e i grissini sono prodotti utilizzando le polveri di erbe di laguna essiccate che caratterizzano ancora di più la nostra cucina».

Nobile carne

Foto Simona Bruno

Di pari passo con l’esaltazione del vegetale e la ricerca di proteine alternative, c’è la nobilitazione dell’esclusività della carne: sempre più ricercata in termini di provenienza, qualità e sostenibilità e trattata con particolare cura. Ne è un esempio il progetto portato avanti da Marco Parente, di Nero9: «Siamo specializzati in dry aged, ovvero in una proposta di tagli con o senza osso che subiscono processo di frollatura a secco di 30-60 giorni grazie al quale acquisiscono particolari caratteristiche in termini di aroma e consistenza. Mi occupo personalmente di questa maturazione nel mio laboratorio, così come della scelta dei tagli non in base alla razza, bensì in base al grado di marezzatura e sempre pensando al tipo di lavorazione e cottura cui verranno sottoposti».

Benessere animale

La qualità della materia prima è garantita dalla collaborazione con realtà attente al benessere dell’animale, allevato allo stato brado grass-fed o semi brado, secondo i più stringenti standard europei e la griglia è alimentata solo a carbone vegetale essiccato naturalmente, che risulta atossico per la cottura e adatto a esaltare le caratteristiche della carne.

«La nostra proposta si arricchisce con la Selezione Nero9 che varia giornalmente in base al mercato, ma anche con qualche fuori menu, con cui mi piace stupire i miei ospiti che per esempio possono assaggiare pezzi senz’osso frollati anche sei mesi e poi serviti crudi, affettati come un classico salume».

Le spine di Moreno

Tra i progetti no-waste più interessanti quello di Moreno Cedroni, che nel ristorante La Madonnina del Pescatore ha ideato il menu degustazione Le Spine: «Il progetto è nato per caso: cuocendo delle spine di pesce nella pentola coreana (Ocoo), mi sono reso conto che la combinazione di calore, pressione e infrarossi agiva sulla composizione di calcio della materia prima trasformandone la consistenza e rendendola plasmabile in nuova forma. Da lì ho condotto diversi esperimenti scoprendo che ogni spina di pesce ha un proprio aroma particolare e - una volta trasformata in polpa o polvere - una propria applicabilità in cucina».

«Per esempio le spine di pesce bianco - o quelle liofilizzate di pesce azzurro - si possono impastare con la farina per realizzare una pasta, mente quelle della razza sono cartilaginose e se il pesce viene marinato e poi grigliato, diventano croccanti - continua Cedroni -. Le spine di moro oceanico sono adatte a nappare le carni stesse del pesce, mentre le spine liofilizzate e ossidate di ricciola sviluppano un sapore intenso, che ricorda un formaggio semi-stagionato, perfette da grattugiare sulla paglia e fieno. Ma le ho utilizzate anche in un predessert a base di ganache di cioccolato fondente, ottenendo un interessante sentore che ricorda il tabacco».

Alternative vegetali all’uovo in pasticceria

In ogni caso, l’alta cucina cerca di rendersi più inclusiva, rivelando una crescente attenzione per le intolleranze e i nuovi stili alimentari: così sempre più chef e pasticceri inseriscono delle alternative vegane, lactose free e senza uova nei loro menu, in alcuni casi trasformando questi approcci nel fulcro esclusivo della propria attività creativa.

Ne è un esempio lo chef Dario Beluffi, noto a Milano per le sue creazioni che dimostrano l’uso innovativo di alternative vegetali per sostituire l’uovo in pasticceria: «Da otto anni porto avanti un progetto di pasticceria e cucina vegetale basato sull’uso di prodotti sostitutivi delle uova, in particolare una varietà fermentata di alga chlorella e l’acqua faba».

La prima è un’alga d’acqua dolce che contiene il 62% di proteine e non fa fotosintesi ma viene fermentata su terra ferma in silos di acciaio con scarti di lavorazione dello zucchero e per questo sviluppa un colore giallo e una nota solfurea che la rendono un perfetto sostituto del tuorlo d’uovo. La seconda è il liquido di governo o di cottura dei ceci che, dopo aver subito un processo di concentrazione della parte proteica diventa performante esattamente come l’albume.

«Partendo dal calcolo dei valori nutrizionali del tuorlo e dell’albume, dopo vari bilanciamenti, prove e ricettazioni - conclude lo chef -, ho creato un sistema che mi permette di tradurre qualsiasi ricetta base nella corrispondente senza uova, mescolando alga clorella o acqua faba, acqua e una parte grassa a scelta, ottenendo un gusto che replica molto fedelmente quello dell’uovo».

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome