
Il palcoscenico, ovvero la location della pizzeria, è stato costruito come un’autentica casa napoletana, la sala anni ’70 con tavoli di marmo, il “retrobottega” che diventa salotto, le stoviglie di famiglia, piatti e bicchieri che sembrano essere stati presi dal corredo della nonna, dove ogni gesto che viene compiuto diventa un racconto.
Qui, infatti, l’ospitalità non è semplicemente un servizio, ma una messa in scena ironica e genuina. Un progetto nato dalla mente e dall’esperienza di Giovanni Avolio, già direttore della ristorazione del Grand Hotel Parker’s, formatore e consulente nel mondo dell’hôtellerie, che ha trasformato la sua pizzeria in un vero laboratorio esperenziale dove il concetto stesso di accoglienza diventa arte.
L’ospitalità è percezione
«L’ospitalità è percezione», spiega Avolio. «Aprire una pizzeria a Napoli non è semplice: ce ne sono migliaia e un buon prodotto ormai lo fanno in tanti, è scontato. Per fare la differenza non bastano, quindi, le materie prime, serve raccontare un’esperienza. Ed è proprio la capacità di entrare in contatto con la parte emotiva dell’ospite che cambia la percezione di ciò che non solo sta vivendo, ma anche mangiando».
Un vero copione
Cuore pulsante del progetto è lo script, un copione teatrale, scritto dal titolare, che viene rappresentato da Simona, Serena e Martina, le ragazze della sala, tutte con un passato da attrici. Attenzione però, quelle pronunciate non sono parole imparate a memoria, ma una spontanea interpretazione che scandisce i vari momenti del servizio, dal benvenuto all’arrivederci.
Lo storytelling dell'esperienza gastronomica
«È una narrazione, a tratti provocatoria, che porto anche in formazione. A noi interessa che ogni gesto, ogni parola, diventi parte di uno storytelling autentico. Quando Simona, per esempio, prepara il caffè con la moka e si siede con i clienti a berlo, è il simbolo di tutto questo. L’ospitalità è relazione, calore, memoria. È far sentire le persone parte di casa nostra».
L’ispirazione arriva dall’Italia degli anni ’70: «Volevo ricreare quell’idea autentica di ospitalità domestica, attraverso la comunicazione e la relazione cerchiamo di generare nel cliente emozioni positive, un senso di comfort e familiarità».
Il dessert “sbagliato”
Tra le interpretazioni più amate, c’è quella del dessert “sbagliato”: quando si ordina lo zabaione, arriva prima la celebre scatola di latta in cui le nonne napoletane conservano ago e filo. Il cliente la apre, sorride, poi il personale rientra dicendo «Scusate, vi abbiamo portato quella sbagliata!» e la sostituisce con quella giusta, piena di biscotti. Un piccolo gioco che trasforma la sala in un palcoscenico e il cliente in parte attiva della narrazione. Nulla è lasciato al caso, insomma, ma tutto è pensato per evocare ricordi e calore domestico.
Un menu a forma di elenco Sip
Il menu, che richiama la grafica dell’elenco telefonico della SIP (Società Italiana Piemonte, il vecchio gestore dell’esercizio telefonico italiano) contiene le classiche pizze napoletana, con le varie versioni della margherita dalla tradizionale (10 euro) a quella con funghi
(12 euro) e pomodorini di San Marzano (13, 50 euro), alle varianti della marinara, fra cui quella nobile (9,50 euro), con due tipi di pomodori a quella dorata (8,50 euro) con pomodorino giallo. Non mancano ovviamente la salsiccia e friarielli (anche in versione vegana), le pizze fritte a quelle nel rutiello, (cotta in una teglia rotonda).
«Antica Pizzeria Chiaia è nata per dimostrare che si può offrire qualità e sostenibilità insieme», racconta Avolio. Arredi di recupero, attenzione ai numeri e un business plan solido si uniscono a una filosofia che mette le persone al centro. Così, tra una moka che profuma di casa e una fetta di pizza, l’esperienza si trasforma in un viaggio sensoriale e affettivo: un piccolo teatro napoletano dove l’ospitalità torna a essere, semplicemente, un atto di cura






