Enrico Crippa: «La ricerca è alla base della creatività»

Foto L. Cigliutti
Piazza Duomo, ad Alba, compie vent’anni. Due decenni passati sulla cresta dell’onda. Enrico Crippa si racconta e ci racconta come rimanere ai vertici della ristorazione italiana e internazionale. E illustra il nuovo progetto Studio+

Chi, come capitò a noi, incontrò lo chef Enrico Crippa nel 2005, nei primi mesi di apertura del Ristorante Piazza Duomo di Alba, oggi tre stelle Michelin, non farà fatica a ricordare la precisione, la naturale passione per le materie prime, ma anche la propensione dello chef a una visione estetica, artistica, colorata e creativa dei piatti (indimenticabile una portata di pesce di allora che sembrava ispirarsi alle opere di pittori come Kandinsky e Pollok) e di una personalità che lasciava presagire eccellenza. A distanza di vent’anni dall’apertura del suo ristorante Enrico Crippa è considerato un’icona dell’alta cucina italiana e il Ristorante Piazza Duomo di Alba, nel cuore della capitale delle Langhe, offre un’esperienza gastronomica unica.

Oggi, inoltre, a Piazza Duomo è in corso il progetto Studio+, una sorta di “enclave” dove lo chef cucina per al massimo otto commensali, mettendosi in gioco con un rapporto il più personale e diretto con chi si siede al tavolo. Insomma è davvero il momento ideale per chiedere a Enrico Crippa qualcosa sul tempo passato e sul prossimo futuro.

Come è cambiato, in questo periodo, il modo di fare cucina e accoglienza al Piazza Duomo?

Il Ristorante Piazza Duomo è un continuo work in progress e ha cambiato e ampliato i suoi spazi più volte arrivando a breve ad aprire un nuovo spazio che chiameremo Studio+ che non è un chef’s table, nemmeno il privé di Piazza Duomo. Varcando la soglia, a fianco della sala principale del ristorante, si entra in un luogo che evoca l’atmosfera di casa. Qui le distanze si accorciano e ci si sofferma a racconti davanti a un bicchiere di rosso invecchiato trascorrendo un pasto dove la condivisione dei pensieri e delle parole segnano il ritmo dei piatti preparati dallo chef. Lo “studio” è da sempre lo spazio immaginifico che l’artista occupa durante il processo di creazione e nel quale si condensano memorie, ricordi, ispirazioni, relazioni, emozioni ma anche oggetti, materiali simbolici o concreti che ineludibilmente compongono la fonte ispiratrice dell’opera.  È il cuore pulsante della produzione artistica, il luogo sacro dove tutto prende vita. Qui abbiamo scelto di metterci in gioco, accogliendo in prima persona otto ospiti e con loro dialogare sulla nostra idea di cucina, mostrando come si compone un menu studiato su misura per l’occasione e che asseconda l’imprevedibilità degli ingredienti sempre freschi e disponibili nell’orto. Nel 2005 quando abbiamo aperto la mia cucina era molto diversa, direi che la svolta maggiore è stato prendere atto della centralità del mondo vegetale per la mia cucina, percorso che porto avanti e che mi appassiona.

E come è cambiato, se è cambiato, lo chef Enrico Crippa?

Tutti noi si cambia in 20 anni. Sicuramente sono più consapevole, ma resto ancora estremamente curioso e mi piace scoprire, testare, ammirare, stupirmi per poi trovare nuove emozioni. Credo di essere una persona semplice che ama il suo lavoro e dà il 100% ogni giorno in cui entra in cucina.

In un lavoro ventennale quali soddisfazioni e quali bilanci si sente di fare?

Ho realizzato un mio sogno e ricevuto grandi soddisfazioni. Ho avuto la possibilità di crescere e nella mia cucina ho avuto al mio fianco giovani che poi hanno aperto locali di successo e questo mi fa piacere perché ho saputo trasmettere loro entusiasmo e competenze. Quindi il mio bilancio è positivo.

Si parla di chef stellati un po’ come di archistar della cucina. È davvero così o c’è dietro più una narrazione mediatica/commerciale?

Il lavoro del cuoco è un lavoro di grande sacrificio e negli ultimi anni è stato raccontato sotto molti aspetti a volte enfatizzandone solo i lati positivi. Personalmente io amo ciò che faccio nonostante gli orari, i continui giudizi che riceviamo, le ore passate in piedi, l’apprensione di non trovare un’idea nuova da trasformare in un piatto. Credo che ormai l’idea della star, che sia in cucina, nell’architettura o nella moda, stia sparendo e gli appassionati di cucina vedano la persona che si dedica a creare il piatto.

Recentemente c’è stato anche un discreto dibattito sulla necessità di preparare al meglio il personale non solo di cucina, ma anche di sala. Se anche lei ha avvertito criticità come, a suo parere, si potrebbero superare?

Il team è fondamentale. Un ristorante è una macchina complessa e quindi necessario che tutto sia vissuto in armonia. Fondamentale la preparazione. Se miri a soddisfare il cliente tutto deve essere svolto, semplicemente, nel migliore dei modi.

La cucina italiana è vista, soprattutto nel nostro Paese, come un punto di riferimento mondiale. Ma è davvero così oppure è solo la nostra visione?

Direi che è abbastanza evidente. La cucina italiana è amatissima ovunque e i prodotti italiani sono invidiati da tutti per la loro unicità e varietà. Non credo, quindi, sia solo una nostra visione.

Ricette piemontese interpretate in modo ortodosso o piatti piemontesi rivisitati secondo una logica e gusti attuali?

Io amo molto gustare piatti della tradizione piemontese, nelle mie giornate libere visito spesso le trattorie di Langa, ma per come ho pensato Piazza Duomo piatti tradizionali non potrebbero inserirsi in modo armonico tra ciò che propongo.

Fare lo chef a capo di una struttura pluristellata spesso significa anche essere manager. Quanto è difficile oggi gestire tutti gli aspetti di un’attività di accoglienza nell’alta ristorazione?

Io ho la fortuna, come dicevo, di non essere solo, ho dei soci (la famiglia Ceretto, ndr) che sono sempre stati un grande supporto e ho dei collaboratori in sala, cantina e cucina con i quali c’è grande fiducia e intesa.

Alba e il Piemonte sono al centro di un’area enogastronomica di altissimo livello e al centro di paesaggi che sono Patrimonio dell’Umanità Unesco. Caratteristiche, queste, che richiamano molto turismo, alcuni hanno detto a volte troppo. Anche lei ha avvertito i rischi di un eccessivo turismo nella Langa piemontese?

Io sono arrivato nel 2003 e le Langhe non erano ancora così popolari come negli ultimi anni. Ho visto crescere la fama di questo territorio e l’offerta gastronomica ed enologica. Le Langhe stanno bene, sono amate e apprezzate. Tutti assieme si è concorso a valorizzare i prodotti e la cucina e le soddisfazioni sono arrivate. Troppo turismo? Sicuramente c’è più turismo rispetto a quando sono arrivato però è anche vero che ora si lavora bene per quasi tutti i mesi dell’anno.

Ed Enrico Crippa, quando non lavora, che passioni ha?

Tutti sanno della mia grande passione per la bicicletta. Quando non sono in cucina è facile vedermi pedalare tra le bellissime colline delle Langhe.

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