L’Uri a Verduno: il coraggio di cercare nuove strade

L’unione di Corea e Langa in quel di Verduno (Cn). Si chiama Uri ed è opera di Federica Vaira e Kim Ki che hanno appena abbandonato l’agriturismo che li ha lanciati per avviare un ristorante vero e proprio. Motivo: liberarsi dalle pastoie gastronomiche dell’agriformula e sondare ogni strada possibile

«Siamo partiti senza un progetto, con l’entusiasmo e l’inconsapevolezza di due ragazzi giovanissimi». A raccontarlo è Federica Vaira che insieme allo chef e marito Kim Ki ha dato vita a Uri Sapori Condivisi. Un’avventura iniziata nel 2018 quasi per gioco, a minimo rischio, in un piccolo agriturismo a Roddino.

Oggi, con la stessa passione, lo hanno trasformato in un progetto maturo e ambizioso: un ristorante costruito da zero a Verduno, frutto di un investimento importante che segna uno dei passi più coraggiosi nella Langa contemporanea. Un passo che ha dato una nuova casa a un format unico nel panorama locale, dove tavole di altissima qualità restano spesso fedeli alla tradizione.

Uri, Noi

Uri, che in coreano significa “noi”, rompe lo schema, proponendo una sintesi audace tra Piemonte e Corea che attrae una clientela diversa, giovane, curiosa. L’evoluzione di Uri nasce da una necessità non più rimandabile.

«Roddino era diventato la nostra gabbia d’oro», racconta Federica. Un luogo amato, dove tutto è nato, ma che si era trasformato in una prigione di vincoli agrituristici che tarpavano le ali alla cucina di Kim. Il divieto di utilizzare pesce, la limitazione sugli ingredienti non piemontesi e una cucina minuscola rendevano l’operatività una sfida quotidiana.

Una dichiarazione di libertà

La nuova sede è, prima di tutto, una dichiarazione di libertà. Il progetto, costruito ex novo su un terreno stretto e lungo tra i vigneti, è stato pensato per dare alla cucina lo spazio e gli strumenti necessari a esprimersi. La struttura, prefabbricata in legno, è interamente elettrica e sostenibile, con pannelli fotovoltaici e un sistema di ottimizzazione energetica. La sala, in una prima fase di rodaggio limitata a 45 coperti, è stata disegnata per essere minimale ed elegante e le tante finestre permettono allo sguardo di indugiare sulle colline patrimonio Unesco. Insomma un contenitore performante e proiettato al futuro, dove in primavera ripartirà anche l’orto coltivato direttamente da loro.

Niente mode

Il Noodle con salsa jajamyeon, capesante e rapa marinata

La cucina di Kim è istintiva e tecnica al tempo stesso, e rifiuta scorciatoie e mode. «Amo le cotture espresse» afferma, tanto che già a Roddino proponeva il piccione intero cotto al momento, una sfida complessa che è il suo manifesto di rispetto per la materia prima. Il verbo preferito è “cuocere”, sulla brace per la precisione e infatti la sua cucina è dotata sia di forno a brace sia di yakitori.

A dare il benvenuto, un pane preparato in casa con lievito madre, di notevole qualità, e la costante presenza del kimchi, il tradizionale contorno coreano a base di cavolo fermentato speziato, che con la sua acidità accompagna e sgrassa diverse portate. Varie anche le marinature di matrice coreana - sotto soia, sotto aceto - applicate a materie prime locali.

La sua filosofia è sottrattiva: «Mi piace il gusto deciso, spinto, con pochi ingredienti. Non mi piace impattare con tante salse e tante erbette». L’estetica è minimale, a volte quasi a celare la complessità per sorprendere il palato.

I percorsi degustazione

Il Tteokgalbi, una polpetta tipica coreana servita con foglie di aglio orsino conservate nella soia

Il menu si articola su tre percorsi degustazione. Uri, il primo percorso, raccoglie i piatti “intoccabili” del locale, come i ravioli al blu di mucca o il Ssam coreano, ossia un involtino ripieno di capocollo, marinato, leggermente piccante e avvolto dalla foglia di cavolo. Mat-Uri è il menu interamente vegetariano, dove spiccano il risotto con miso e bietola o la Zucca alla brace, zabajone salato, burro bruciato, shiokonbu e aglio.

È però nel menu Nuovi Sapori che l’espressione di Kim è più libera. Un esempio è la Carne all’albese con salsa matcha: «Prendo un piatto piemontese al 100% e lo servo con una salsa a base di peperoncino, di origine messicana ma fatta con ingredienti coreani e piemontesi. Il chili oil crea un bel contrasto e si sposa bene con la dolcezza della carne». Altro piatto emblematico sono i Noodle con salsa jajamyeon, un classico coreano, qui abbinati a crudo di capesante e rapa marinata. A questi si aggiunge il Tteokgalbi, una polpetta tipica coreana che include anche il diaframma, golosa e decisa, servita con foglie di aglio orsino conservate nella soia.

Anche la pasticceria segue la stessa linea: «È un dolce da cuoco, non da pasticcere. Un dolce gastronomico, che sta bene alla fine di un pasto al ristorante», come le cialde croccanti, crema di polenta e gelato alla castagna. E a chiudere il percorso, un’ulteriore scelta di qualità: il caffè della torrefazione artigianale Giovannacci di Finale Ligure.

La sala e un servizio fluido ed elastico

Se la cucina è il cuore pulsante, la sala ne è il perfetto contraltare. A gestirla è Federica, che si definisce “il jolly di turno”. Con una formazione da cuoca, oggi si occupa del management a 360 gradi, dopo aver intrapreso studi specifici in Svizzera e a Rimini. Il suo ruolo è quello di cerniera tra i due reparti. «Cerchiamo di dare tutte le attenzioni di un locale di alto livello, ma in modo fresco, giovane, divertendosi col cliente, con la battuta o obbligandolo simpaticamente a provare un piatto».

La flessibilità è un altro punto di forza: i tre percorsi possono essere integrati con piatti fuori carta o degli altri menu e, per i più golosi, è possibile aumentare la porzione dei primi con un piccolo sovrapprezzo (4 euro), un incentivo alla condivisione e al piacere della tavola. Una filosofia che si riflette anche nella nuova carta dei vini, libera di esplorare etichette da tutto il mondo, con un futuro focus su sakè e liquori coreani per completare l’esperienza.

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