È arrivato il momento di iniziare a lavorare insieme!

Creare dei distretti di condivisione permetterebbe ai ristoranti di ampliare le proprie competenze, ridurre i costi e aumentare la portata delle proprie iniziative

distretti di condivisione
Creare distretti di condivisione permette di ridurre i costi e ampliare visibilità e iniziative

Tempi complicati come questi richiedono risposte nuove. Fuori dai percorsi battuti finora. Creativi, coraggiosi, visionari. Capaci di superare uno dei più grossi limiti che ogni imprenditore sta sperimentando sulla propria pelle: sentirsi soli ad affrontare difficoltà spesso vissute come più grandi di noi. Ecco il motivo per cui per Emanuele Gnemmi, consulente esperto nel mondo della ristorazione e titolare di Emanuele Gnemmi Consulting, è il momento di attivare quelli che ha battezzato i “distretti di condivisione”: «Quando un gruppo di ristoratori riesce a mettersi insieme e a lavorare su obiettivi condivisi ne scopre i vantaggi. Lavorare insieme permette da un lato di ottenere risultati, per esempio nel campo della comunicazione, difficili da raggiungere da soli; dall’altro consente di aver accesso a un maggior numero di informazioni e a competenze che magari non possediamo. A costi inferiori di quelli che il singolo ristoratore dovrebbe investire. Rendendo di fatto sostenibile investimenti che altrimenti non lo sarebbero. Mettendosi insieme, i ristoratori possono permettersi risorse e attività che da soli non potrebbero fare». Con il risultato di finale di passare dal rinunciare (“è fuori dalla mia portata”, “mi occorrerebbe, ma...”) al rilanciare.

Gli ambiti: dalla comunicazione agli ambassador

Emanuele Gnemmi, titolare di EM Consulting

Il primo ambito da cui Gnemmi suggerisce di partire è la comunicazione, focalizzandosi sul territorio: «È un momento in cui c’è grande attenzione e interesse verso le eccellenze locali: un progetto di comunicazione fatto congiuntamente dai ristoratori di un territorio, magari con il supporto degli enti locali, può sviluppare in tempi più rapidi una notorietà e un’attenzione per la destinazione - con conseguente afflusso di clienti - di cui tutti potrebbero beneficiare, ognuno a sua volta facendo leva sul proprio target e sulle proprie caratteristiche distintive».
Gnemmi suggerisce di istituire la figura dell’ambassador: «L’idea - spiega l’esperto - è di avere un professionista, pagato pro quota dai ristoratori, che si occupi di scovare e mappare i produttori di eccellenza di un territorio e di metterli in contatto con i ristoratori che hanno bisogno di quel prodotto e siano in grado di valorizzarlo. Ma il compito dell’ambassador potrebbe essere anche quello di trasmettere ai produttori le esigenze dei ristoratori che non trovano ancora adeguata soddisfazione, in modo da allineare sempre di più la domanda e l’offerta facendo fare a entrambe un percorso di valorizzazione».

I vantaggi per la gestione

La creazione  di un distretto di condivisione, infine, potrebbe portare notevoli vantaggi anche per la gestione dei singoli ristoranti: «Gli ambiti sono più d’uno - spiega Gnemmi -. Il più semplice e veloce da ottenere è quello legato alla centralizzazione di alcuni acquisti, che inizialmente potrebbe essere fatta sui prodotti commodity su cui non c’è alcun valore aggiunto da spuntare: penso ad esempio ai prodotti per le pulizie, o alle forniture di presidi sanitari, dove un acquisto collettivo permetterebbe di spuntare prezzi più vantaggiosi».

Un secondo ambito è la creazione di una rete di consulenti specializzati in comune: «Alcuni sono indispensabili per tutti: il commercialista, l’esperto di normativa, l’esperto di Haccp - spiega Gnemmi -. Condividerli porta a due vantaggi: un minor costo per ogni singolo ristoratore, visto che molte delle richieste sono comuni a tutti, e la possibilità di avere tutti un consulente che, vista la mole di lavoro, può specializzarsi nella ristorazione. Ma si potrebbe anche attingere a professionalità, dal social media manager al nutrizionista, che il singolo ristoratore non potrebbe permettersi».

 

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