Rinegoziare l’affitto, salvagente non per tutti

Si moltiplicano i casi di rinegoziazione dei canoni, ma anche i contenziosi. Il dilemma, spesso, è se continuare a pagare o chiudere. Secondo uno studio Fipe il peso dell'affitto si è triplicato durante la pandemia

Non è il momento di lasciare le imprese sole. È questo il grido che proviene da più parti in questi giorni di crisi pandemica dai tanti imprenditori che temono non solo per la salute, ma anche per la propria attività. Occorre, infatti, agire in tempo per salvaguardare le pmi della ristorazione e dare un aiuto per favorirne la ripartenza. Torniamo, dunque, a parlare di canoni, perché di questi tempi l’affitto rappresenta un costo sempre meno sostenibile e il punto debole del conto economico che può determinare la cessazione di un’attività. E di attività chiuse, girando in queste settimane tra le vie dei centri storici di grandi e piccole città, se ne vedono diverse. In quelle aree la crisi ha, infatti, colpito più duro e l’effetto combinato dello smart working, dell’e-commerce e del calo dei turisti, soprattutto stranieri, ha determinato un crollo verticale dei ricavi, con variazioni negative, in alcune aree del Paese, del 70-80%. Attività che, nonostante l’emergenza, si sono trovate comunque a fare i conti con canoni rimasti, in larga maggioranza, invariati per tutto il periodo del lockdown. Con l’emanazione dei vari decreti emergenziali qualcosa era stato fatto per alleviarne l’onere, riconoscendo agli esercenti un credito d’imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione per i mesi di marzo, aprile, maggio e giugno. Non molto, per la verità vista la sopravvenuta impossibilità per molte realtà di fare fronte al pagamento dei canoni per cause, obiettivamente, al di fuori dell’ordinaria alea che caratterizza l’attività imprenditoriale. Di positivo c’è che il recente  Decreto Ristori (D.L. n. 137 del 28 ottobre) ha accolto alcune istanze che venivano dal mondo imprenditoriale e che erano diventate non più differibili, stante anche l’aggravarsi della situazione pandemica: l’estensione del credito d’imposta anche ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2020 (credito riconosciuto a prescindere dal volume di ricavi registrato nel periodo d’imposta precedente) e la cancellazione della seconda rata Imu in scadenza il prossimo 16 dicembre. Misure che avrebbero potuto essere ancora più incisive se fosse stata accolta anche la proposta di concessione di sgravi fiscali ai proprietari di immobili commerciali nel caso di riduzione del canone (una misura simile è stata deliberata dal comune di Firenze con la riduzione sull’Imu ai proprietari che applicano uno sconto sull’affitto del 30% per almeno 6 mesi).

Il peso dell'affitto si è triplicato durante la pandemia

Che il “fronte affitti” sia, ormai, diventato caldo lo ha evidenziato più volte Fipe-Conf­commercio negli ultimi incontri con le forze governative e anche in un webinar dedicato. Tra i numeri presentati nel corso del seminario, quello più preoccupante ha riguardato proprio il costo dell’affitto che, secondo le valutazioni della federazione, assorbirebbe il 30% circa del giro d’affari dei locali. «Un’incidenza non più sostenibile - puntualizza Luciano Sbraga, direttore del Centro Studi Fipe - e che non consente alle imprese di sopravvivere». Solo 9 mesi fa, sostiene sempre la Fipe, prima della tempesta scatenata dal virus, la voce “affitto” incideva mediamente per poco più del 10% sui bilanci di un pubblico esercizio. 

Ritorno alla cedolare secca?

Le cause, come sappiamo, sono sotto gli occhi di tutti: il settore è, infatti, destinato a chiudere l’anno con una flessione del volume d’affari di 24,1 miliardi, il 27% in meno rispetto al 2019. Per contro, i canoni non solo sono rimasti quelli del “tempo ordinario”, ma anche le proposte per una soluzione in  bonis  delle vertenze tra proprietario e locatore non hanno sortito grandi effetti e, comunque, le eventuali ricadute di nuovi accordi si vedranno nel medio termine. Inoltre, in questi mesi, si è generato un contenzioso non indifferente a fronte anche di numerosi casi di gestori che hanno optato per una riduzione o sospensione unilaterale dei canoni. Un contenzioso che, in alcuni casi, ha segnato qualche punto a favore dei gestori: lo scorso 27 agosto, infatti, il Tribunale di Roma, in merito a una causa tra locatario e proprietario, ha emesso un provvedimento cautelare  che impone a quest’ultimo di ridurre il canone d’affitto del 40% per i mesi di marzo e aprile, in pieno lockdown, e del 20% per i mesi successivi, fino a marzo 2021. Una pronuncia motivata sulla base della sopravvenuta impossibilità del ristoratore di svolgere appieno l’attività. E, segnala Fipe, una pronuncia simile è stata presa dal Tribunale di Venezia. Buone notizie, ma gocce nell’oceano. Da registrare, infine, che anche il mondo della proprietà si è mosso e Confedilizia è tornata a invocare la cedolare secca, un modo alternativo per tassare meno le locazioni, rivedere i canoni e permettere di “salvare” le imprese in difficoltà. 

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