Addio ad Aimo Moroni, maestro della cucina italiana

A 91 anni si è spento uno dei protagonisti della ristorazione contemporanea. Con la moglie Nadia ha dato vita a un linguaggio gastronomico unico, fondato sulla purezza dei sapori e sulla verità degli ingredienti

È morto a Milano Aimo Moroni, 91 anni, figura tra le più autorevoli della cucina italiana del secondo Novecento. Toscano di origine, arrivato da San Miniato negli anni Cinquanta, ha saputo trasformare una piccola trattoria di quartiere in un laboratorio di pensiero gastronomico che ha segnato un’epoca.

Insieme alla moglie Nadia, con cui ha condiviso oltre sessant’anni di vita e di lavoro, ha fondato Il Luogo di Aimo e Nadia, uno dei ristoranti simbolo della nuova cucina italiana. Qui, nel corso dei decenni, ha elaborato una filosofia fondata su una regola semplice e radicale: riconoscere ciò che si mangia. Niente mascheramenti, nessuna artificiosità, ma il rispetto assoluto per la materia prima e per la storia che porta con sé.

Un linguaggio gastronomico autentico

Negli anni Sessanta e Settanta, quando la cucina d’autore cominciava a liberarsi dal formalismo della ristorazione francese, Moroni seppe indicare una via diversa: quella dell’identità italiana. Nei suoi piatti c’erano i colori, le stagioni e le storie del Paese, filtrate da un gusto personale fatto di rigore e curiosità.
«La sua cucina era come la bandiera italiana – ha ricordato Massimo Bottura – luminosa, chiara, fondata su equilibrio e passione».

L’eredità di un pensiero

Con il passare del tempo, Il Luogo di Aimo e Nadia è diventato una vera e propria scuola, dove generazioni di giovani cuochi hanno imparato a leggere il territorio attraverso i sapori. Oggi la figlia Stefania Moroni prosegue quel cammino insieme agli chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani, che hanno saputo rinnovare la tradizione senza tradirne l’anima.

Aimo Moroni ha sempre rifiutato le mode e gli eccessi, scegliendo la strada della verità gastronomica. La sua cucina, colta e insieme popolare, rimane una lezione di misura e sincerità.

Con la sua scomparsa, l’Italia perde non solo uno chef, ma un maestro di pensiero culinario, capace di trasformare ogni piatto in un racconto di territorio, memoria e umanità.

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