Che pane metti nel cestino?

pane

Da molti il pane è considerato un dettaglio, ma come può esserlo in un paese che ne conta 250 tipi con più di mille varianti?
Con questo patrimonio a disposizione, è a dir poco vergognoso presentare un pane anonimo e omologato: il solito quasi-toscano, la consueta simil-baguette, la medesima michetta uguale a Bari come a Varese. Ammetto che quando mi succede di scorgere un cestino con questi mediocri contenuti (di solito è accompagnato da grissini industriali) il primo istinto è di alzarmi e andare via. Il ragionamento è ovvio: chi mi accoglie con un pane dozzinale non cura i particolari, cioè non lavora con amore. Cosa posso aspettarmi dal resto del pasto?

Primo dovere del buon ristoratore è proporre sempre il pane della sua città. E deve essere il formato canonico, in grado di rappresentare il territorio. Non simil-pani ma vere specialità fornite da un fornaio scelto con cura, di fiducia e di valore. Insomma, il classico sacerdote della panificazione tradizionale, immancabile in ogni centro abitato.
Accanto al pane-testimonial del territorio, ben vengano i formati creativi che più piacciono allo chef da servire appena sfornati. Qualche idea? Alle olive, con frutta secca, al basilico, alle cipolle, al nero di seppia, alla pancetta, alla melanzana, al caciocavallo, alle patate, all’acciuga, alla salvia, alle noci, al rosmarino, all’origano, alle noci, al pomodoro, di mais, arabo alla piastra, al sesamo, con grano spezzato, con semi misti, di segale e saraceno, ai semi di papavero, alla nipitella, al finocchietto, al cumino, al sesamo nero, ai semi di sedano, ai semi di carota.

Foto: Martino Ragusa

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