Qoco: dall’Andalusia alla Puglia l’olio incanta

Rafael Arroyo Martínez, chef del ristorante El Claustro di Granda, Spagna
Rafael Arroyo Martínez, chef del ristorante El Claustro di Granda, Spagna
Le potenzialità dell’olio in cucina in mostra a Qoco, concorso internazionale tenutosi ad Andria che ha visto le creazioni di 10 giovani chef in gara. Qui le riflessioni della giuria, la classifica, i piatti, gli abbinamenti scelti

Gli chef mediterranei stanno scrivendo una nuova cucina, e  l’olio extravergine d’oliva è sempre più protagonista. L’ingrediente è antichissimo, ma ancora oggi poco conosciuto nelle sue caratteristiche organolettiche e nelle potenzialità culinarie. Ma le cose stanno cambiando. Da una parte ci sono nuove metodologie frantoiane, che mettono al primo posto il rispetto dell’oliva. Dall’altra ci sono i ristoratori e il lavoro tra pass e tavolo, dove finalmente la biodiversità trova posto a sedere. 

Giovani talenti

Al rapporto tra extravergine, innovazione e cucina è dedicato Qoco  - Un filo d’olio nel piatto. Il concorso internazionale per giovani cuochi dell’Euromediterraneo nato ad Andria (Bt), città a forte vocazione olearia, nel 1999. Nel 2023, dopo 10 anni di stop, è tornato a chiamare a sé giovani talenti, selezionati dai Jeunes Restaurateurs d’Europe, grazie all’organizzazione dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio e la collaborazione di Slow Food Puglia e Strada dell’Olio Castel del Monte. A giudicare gli chef, alcuni dei nomi più importanti della cucina del Sud Italia: Nino Di Costanzo, Ernesto Iaccarino, Giuseppe Iannotti e Felice Sgarra. Che durante il concorso ci hanno raccontato come lavorano con gli extravergini.

Trenta etichette al carrello

Nino Di Costanzo, chef patron di Danì Maison a Ischia (Na), ha più di trenta etichette di olio al carrello. Per lui fare innovazione con l’olio evo significa lavorare al giusto dosaggio per fare la differenza nel piatto, senza stravolgere questo ingrediente. «I produttori fanno un lavoro enorme, dal campo alla bottiglia, per portare degli oli perfetti sulle nostre tavole. Per questo bisogna portarlo in tavola così come loro lo hanno interpretato, in modo naturale». 

Innovazione significa studio

L’olio è una costante anche nella cucina di Felice Sgarra. Andriese, chef patron di Casa Sgarra a Trani (Bt), lavora da sempre questo prodotto, punta di diamante agricola della sua zona. Per lui innovazione significa studio, e l’extravergine è una fonte perfetta da cui apprendere. Nella sua carta, un signature dish, che è un ricordo d’infanzia: pane e olio. «Ho voluto proporre la vetrificazione dell’oliva di Coratina disidratata e poi reidratata col suo stesso olio. Il tutto sormontato da una spuma fatta con mollica di pane di semola di grano duro autoctono. In questo bicchierino c’è tutta la Puglia: mangiandolo, si ha la sensazione di avere sia la crosta che il sapore del pane, insieme all’olio». 

L’olio è cultura

Ernesto Iaccarino è l’ultimo anello della dinastia culinaria del Don Alfonso 1890, a Sant’Agata Sui Due Golfi (Na). Per lui invece l’olio è cultura. L’extravergine contemporaneo beneficia di una grande cultura e dei progressi della tecnologia agronomica e frantoiana, dalla raccolta all’estrazione. «I tempi di sosta dalla raccolta al frantoio si sono accorciati. Le temperature di molitura abbassate. Sono nati così oli ancora più profumati e salubri». 

Lo chef Giuseppe Iannotti infine ha vestito i panni del produttore puntiglioso, andando in campo a scegliere le olive da comprare per il suo olio. Ha pulito le macchine del frantoio scelto, per poi produrre olio con a bassa resa ma di ottimi profumi. «Per me innovare è sinonimo di rispettare - dice lo chef di Kresios, ristorante di Telese Terme (Bn) -. L’olio è un ingrediente perfetto, da lavorare il meno possibile. Per questo, per fare innovazione, l’olio va tutelato e compreso».

Carta dedicata

E la carta degli oli? Secondo Di Costanzo clienti e chef conoscono ancora poco il mondo dell’olio per poter arrivare a proporre, anche negli stellati italiani, una carta dedicata. «C’è bisogno di conoscenza e cultura su un settore che incorona l’Italia come il Paese con più cultivar di ulivi al mondo, oltre 500. Ma ancora oggi si conoscono appena il Leccino, il Frantoio, la Coratina e poche altre». 

«Più che alla carta oli, credo in un lavoro da fare in cucina, per abbinare le diverse cultivar ai piatti - dice Iaccarino -. Ma un piccolo carrellino di oli, accompagnato da qualcuno che sappia raccontare le etichette, può essere un valore aggiunto». 

«Servire l’olio al tavolo significa offire una piccola esperienza al cliente, a cui però non si può far provare tutto. Credo che le carte degli oli debbano usarle gli chef perché ogni cultivar e ogni zona di provenienza ha le sue caratteristiche, da raccontare nei piatti». 

Le dieci ricette in gara

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