Vitigno della Stiria ha trovato sulle colline del Prosecco l’habitat ideale. La Cantina Conte Collalto ne ha fatto un cavallo di razza della produzione
Logica aziendale e passione: si ottengono così risultati sorprendenti. È questo il caso del wildbacher, vitigno oggi prodotto da poche cantine al mondo, ma sicuramente estinto se non fosse per la dedizione della nobile famiglia oggi rappresentata dalla Principessa Isabella Collalto de Croÿ.
L’attuale proprietaria della Cantina Conte Collalto, la più antica e ampia azienda vitivinicola della provincia di Treviso (oltre 150 ettari vitati), racconta di come Rambaldo XIII di Collalto prima e il Conte Ottaviano poi (alla fine dell’Ottocento) si dedicarono all’importazione e alla coltivazione del vitigno originario dell’austriaca Stiria, proveniente dal distretto dello Deutschlandberg dove si trova il comune di Wildbach.
Il territorio trevigiano d’alta collina, argilloso-calcareo, tradizionalmente vocato alle varietà a bacca bianca come il diffuso glera del Prosecco, si è dimostrato un habitat ideale per la vite mitteleuropea.
Piccola produzione per intenditori
Se la bassa resa per ettaro e quindi la produzione limitata (35mila bottiglie l’anno) non ne fanno un vitigno importante ai fini del bilancio aziendale, la storia enologica del terroir e la passione dei Collalto lo hanno trasformato in vero cavallo di razza della produzione.
E nel 2007, l’ingresso di Isabella Collalto alla guida della celebre Cantina ha dato nuovo impulso al progetto che valorizza le rarità enologiche come questa.
Un lavoro ambizioso che ha dato vita a questa punta di diamante: il Wildbacher dei Colli Trevigiani Igt.
L’eclettico vino rosso, vinificato in purezza già dagli anni ’50, non vuol essere solo una chicca per intenditori, ma una piacevole scoperta per la clientela di ristoratori ed enotecari. «Una scommessa vinta in partenza - spiega l’enologo Adriano Cenedese, da 38 anni in azienda - sebbene si tratti di un vino a volte difficile da proporre al consumatore inesperto, il Wildbacher è apprezzato per la sua complessità e versatilità». Un “sorso di storia” che si sposa ai piatti della tradizione, ma sostiene bene anche la sfida con la cucina internazionale.