Al Saraceno di Cavernago una cucina concreta e sostenibile

Roberto Proto e Maria Morbi del Saraceno di Cavernago
Roberto Proto, al Saraceno di Cavernago (Bg), mette vegetali, pesci e crostacei al centro dell’offerta. E unisce con intelligenza le culture gastronomiche di Lombardia e Campania

Cavernago, nella bergamasca, e Milano sono separate da meno di un’ora di auto. Quando nel 2014 Roberto Proto è in viaggio verso Milano, in attesa di ricevere la prima stella Michelin, ripensa probabilmente al percorso che lo ha portato fin lì, non esattamente simile a quello di colleghi blasonati.

Proto è un autodidatta: nessun corso, scuola o master, piuttosto l’osmosi naturale della vicinanza al padre Salvatore, che aveva aperto Il Saraceno, a Cavernago appunto, a metà degli anni Settanta.

Era una trattoria di paese, oggi è ristorante stellato: nel mezzo, dal 2002, la coraggiosa gestione di Roberto, che insieme alla moglie Maria Morbi ha saputo trasformare una proposta tradizionale e “sicura” per i clienti locale, in un’esperienza gustativa che oggi attira avventori da ben oltre i confini della provincia. 

Dalla materia prima nasce tutto

Proto è di origine amalfitana. E dalla materia prima della sua terra fa partire l’intera proposta della sua carta: «Pesce e vegetali sono le mie basi. Anche se la vera colonna portante è l’olio extravergine di oliva, l’ingrediente che racconta al meglio la mia cucina mediterranea», sforzo notevole considerando che il mare ligure è a duecento chilometri di distanza, e che per l’approvvigionamento lo chef si serve di due pescherecci ad hoc, che gli forniscono la materia fresca, poi abbattuta al ristorante.

L’Orto e il Mare, e ristretto di Polpo alla Luciana è l’antipasto fotografia di questa idea, che unisce quindi la tradizione del Mezzogiorno alla geografia dell’attuale regno di Proto.

All'inizio era una pizzeria

Nato sotto il segno dell’ospitalità semplice (nella pizzeria del padre Proto ha iniziato a impastare da giovanissimo e il forno a legna è stato tolto soltanto nel 2007), lo chef ha ripensato «una cucina creativa ed elegante con sobrietà. Una proposta principalmente di mare, ricercata, che valorizza il prodotto nella sua essenza più vera, perché è nella semplicità che si trova il gusto più autentico».

Sono quindi sentori e consistenze tipiche di un Sud sanguigno, che qui però si esaltano con materia prima nobile e lavorazioni che per la loro schiettezza andrebbero bene a qualsiasi latitudine: come la Ricciola, cotta fuori e cruda dentro, alla pizzaiola, combinazione sapiente di sapidità, ruvidità e delicatezza che da una ricetta povera estrae invece picchi di complessità.

Da nove anni stellato

Dal 2014, la stella Michelin è stata confermata ogni anno, a testimonianza di una mirabile costanza, che passa per la cucina ovviamente, ma in buona parte per un rapporto senza filtri con la clientela.

«Ho sempre voluto proporre una cucina vera, fresca, buona nel senso più stretto del termine. Ogni prodotto viene lavorato evitando lo scarto, e trattato senza mai perderne l’unicità, coprendolo o tenendolo come elemento secondario», come nel Risotto, Zucca, Astice e polvere di Prosciutto Crudo, in cui tre sapori caratterialmente potenti sono in equilibrio senza disunirsi e prevalere l’uno sull’altro.

Uno dei cavalli di battaglia di Roberto Proto: il Risotto... ho mantecato una pizza

Sarebbe facile spingere sullo storytelling, senza però tradurlo in valore nel piatto: «È fondamentale che all’ospite arrivi la concretezza, in ultima istanza», quindi pochi ricami (quelli giusti) facendo attenzione a variare l’offerta: certo in base alla stagionalità, ma con un occhio alla solidità, senza nascondere nulla.

«La proposta deve necessariamente basarsi anche sui costi del mercato, sulle fluttuazioni dei prezzi di quello che è disponibile, che incidono massicciamente sullo sviluppo di un piano di lavoro e nel registrare il food cost». 

Ingredienti scelti e a basso impatto ambientale

In un momento storico che Proto descrive come «molto particolare, la cucina italiana è consapevole, attuale, territoriale, capace di far evolvere la tradizione». Il Saraceno si qualifica allora come filo d’unione tra una vecchia scuola, quella dei professionisti cresciuti a pane e ospitalità seguendo le orme familiari, e la ristorazione d’avanguardia, che punta su ingredienti scelti e a basso impatto ambientale, un’importante apertura culturale che mescola territori e ricette sulla carta lontani, e occhio di riguardo a gestione e amministrazione.

Non un dettaglio scontato, esacerbato dalle chiusure imposte dalla recente situazione sanitaria, che hanno fatto finalmente virare i riflettori sull’imprescindibile legame tra offerta e conti in ordine.

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