Già protagonista frizzante con Viviana Varese in Alice (oggi Viva) a Milano, Sandra Ciciriello vive la sua avventura personale in Porta Genova, al 142 Restaurant, premiato per la migliore lista vini alla scorsa Milano Wine Week. 55 anni, donna di travolgente entusiasmo e ottimismo, soprattutto alfiera del lavoro di sala e di divulgazione del vino: «Da anni - dice - si parla spessissimo di chef, ma praticamente mai di sommelier, ruolo invece fondamentale e pari alla cucina. Se in un ristorante il cibo è mediocre, ma il servizio è sublime, è probabile che il cliente torni; il contrario difficilmente è vero». Scegliere e consigliare un vino è la punta dell’iceberg: nascosti tra i gesti di un sommelier si trovano studio, empatia, esperienza. E soprattutto attenzione.
«L’ospite - spiega Ciciriello - va servito con eleganza e disponibilità che devono andare di pari passo». Anche e a maggior ragione con i clienti abituali quando il rapporto personale, oltre che professionale, diventa un’arma in più: «Un buon approccio fa sì che l’ospite di fidi e si lasci guidare. È forse l’attestato di stima meno evidente, ma più prezioso, e per questo va rispettato. Troppo spesso, soprattutto in passato, i sommelier ne hanno approfittato o erano poco esperti per poterlo comprendere: va considerato ad esempio che non tutti possono permettersi la stessa tipologia di vino ed è importante quando si consiglia una bottiglie a voce segnalare il costo. Quindi istinto e polso della sala, certo, ma più di ogni cosa vince l’onestà».
Addio agli stereotipi
La figura del sommelier soffre anche di uno stereotipo ingessato, fatto di tastevin ciondolanti e terminologie che sfiorano l’altezzoso. Parlare di vino è un’altra cosa, però. «Spiegare i tecnicismi serve a poco - continua Ciciriello -. Si dovrebbe raccontare delle persone, dei produttori, dei contadini, dell’aspetto umano che davvero fa la differenza, nel mondo del vino. Alla gente non interessa del suolo, dell’altitudine; piuttosto, andrebbe conosciuta la storia personale di chi vive nelle cantine, per le cantine. Oggi poi apparentemente sono tutti intenditori, ma un buon vino rimarrà ancora più impresso, se sostenuto da un racconto. Una figura così importante come quella del sommelier non può rimanere costretta in un’impostazione vecchia di decenni».
A ciascuno la sua carta
La carta vini di 142 Restaurant conta 240 etichette. Non esiste una formula per scegliere quale mettere in lista, o almeno non una esatta. Servono tempo e pazienza, oltre a uno spiccato senso del rapporto: «Sono sommelier da vent’anni, ho visitato cantine, cercato, provato. Alcuni produttori mi sono rimasti nel cuore, mi accompagnano da quando li ho conosciuti: abbiamo un rapporto diretto ormai, discutiamo apertamente. Recentemente a uno di loro ho segnalato che un suo vino stava cambiando». Quindi assaggia continuamente anche i vini che già conosce?
«È fondamentale. Sia come allenamento, che per comprenderne le evoluzioni. Come diceva un mio maestro, il vino ha tre vite separate: in macerazione, in botte e in bottiglia. In ciascun luogo rinasce e cresce nuovamente. Un vino appena imbottigliato non avrà mai le stesse espressioni che mostrerà dopo un mese, un anno, tre anni».
Si deve anche osare
Avere peraltro grande varietà di etichette, permette anche di spaziare e, perché no, osare. «Posso mettere in carta novità che assaggio, ed eliminare vecchie proposte che credo abbiano fatto il loro corso, vuoi per potenziale del prodotto o perché non incontrano i gusti del momento. Mi piace trasmettere all’ospite la stessa sorpresa che provo io, quando scopro qualcosa che non conoscevo. Vado ancora per cantine, mi informo spesso. Ma adesso ho il supporto dei miei distributori, sanno che sono molto attenta e molto curiosa, quindi quando pensano di avere prodotti intriganti, me li mandano. Non mi fido mai di chi insiste per un’etichetta, devo scoprire da me, ma un buon distributore è una ricchezza inestimabile».
Formazione alla vecchia scuola
Come scrive lei stessa nella prima pagina del menu, Sandra si è formata alla vecchia maniera, quasi inciampando nel vino. E il futuro? «Non credo - afferma - che i giovani non ascoltino, come sento spesso dire. Anzi, adesso a maggior ragione non vedono l’ora di imparare e crescere. Non ci sono più buoni maestri, forse è questo il vero problema. Sono gli esperti ad aver perso l’abitudine di parlare con chi si approccia al vino per la prima volta, con i ragazzi: e si badi, che la formazione di un sommelier parte dalla conoscenza della cucina, della sala, dell’intera dimensione dell’ospitalità. Anche questo va, troppo spesso, perdendosi di vista, purtroppo».