Il ristorante digitale è diventato grande, e ora si prende anche i suoi spazi nel mondo reale. Questo sta accedendo a Foorban, il “ristorante senza coperti che conta più coperti di chiunque altro”, come lo ha definito qualcuno. Nato a Milano nel gennaio 2016 come cucina senza sala, che produce, cioè, solo pasti da consegnare, è oggi pronto ad aprire altri punti retail sul modello del primo, che è dentro la sede di Amazon a Milano. Il piano di espansione ne prevede altri 3 nei prossimi mesi, altri 10 nel medio periodo. Uno “sconfinamento” nella ristorazione tradizionale? Non proprio: l’identità di questa start up resta la stessa, la formula resta particolare. Foorban nasce dall’idea di Stefano Cavaleri, Marco Mottolese e Riccardo Pozzoli. Il primo è un 30enne con laurea in International management ed esperienze in grandi aziende all’estero e in Italia; il secondo è un giovanissimo esperto di catering dei grandi eventi che si è fatto le ossa in DO & CO, multinazionale del settore; il terzo è lo “startupper seriale” che è stato artefice (tra le altre cose) del successo di Chiara Ferragni nelle fasi iniziali della sua ascesa verso l’Olimpo delle fashion blogger. «Intuita la necessità del consumatore urbano di vedersi consegnato un pasto nutriente, sano e gustoso, e non più solo pizza o fast food o cibo etnico, abbiamo progettato Foorban, pensando a fornire la migliore esperienza possibile all’utente - spiega Stefano Cavaleri -. Non è solo un food delivery: noi ci occupiamo di tutto. Dalla scelta delle materie prime alla produzione in cucina, dalla creazione dei menu alla consegna».
Come funziona? La cucina centrale di via de Sanctis (zona Sud della città) oggi prepara 1.000 pasti al giorno. Una decina gli operatori, capeggiati dall’executive chef Umberto Vezzoli, esperienza trentennale nella ristorazione di alto livello. La sala non c’è. Quello che viene prodotto in laboratorio è un menu che varia ogni settimana, per pranzo e cena, e che si adegua alla stagione. Piatti bilanciati, sani e nutrienti, che il consumatore sceglie sul sito o sulla app. Ci spiega Marco Mottolese che il team «ha fatto grandi sforzi per ingegnerizzare i piatti, in modo da renderli perfettamente aderenti a quello che il cliente vede in foto quando li sceglie. In più, evitiamo condimenti liquidi e piatti dallo sviluppo “verticale”, proprio perché non garantiscono tenuta nel percorso cucina-luogo di consegna». Per cinque anni Marco Mottolese ha visto come funziona il catering premium nell’ambiente della Formula1. Poi ha sfruttato l’esperienza, applicandola nel progetto Foorban. «La nostra cucina non può funzionare come quella di un ristorante tradizionale - spiega - qui non esistono piatti espresso né improvvisazione, ma solo stime, analisi dei dati e attenta programmazione delle cotture. Siamo operativi dalle 7 alle 23, ma il clou è la pausa pranzo, quando dobbiamo essere pronti con centinaia di pasti che escono tutti nel giro di un’ora o poco più. Cotture sotto vuoto e a bassa temperatura ci permettono di arrivare pronti all’ora X».
Dopo l’avvio e il secondo anno di consolidamento, da qualche mese il business si è strutturato su tre rami. Il primo è il delivery più semplice: il cliente sceglie e in mezz’ora il rider consegna il piatto (pane e posate inclusi). Il secondo è quello delle convenzioni aziendali, ossia accordi in base ai quali un’azienda dà ai propri dipendenti un buono-Foorban al posto del tradizionale ticket. Così il fatturato aumenta e si “stampella” il primo ramo, quello del delivery occasionale, che deve fare i conti con una marginalità bassa. «Queste due linee di business insieme sono sostenibili e ci basterebbero per proseguire con una buona crescita», dice Stefano Cavaleri. Però Foorban vuole fare di più, puntando al retail. Ed è quest’ultimo il terzo ramo. «Lo scorso autunno abbiamo aperto il nostro primo pdv nel quartier generale di Amazon. Hanno sempre avuto un’alta frequenza di acquisto. Quando hanno cambiato sede e hanno messo a gara il servizio di ristorazione, ci siamo subito buttati». Il risultato è una sorta di concept store di 50 mq. «Non percepiamo una fee e non c’è una sorta di “minimo pasti” garantito. I dipendenti sono liberissimi di mangiare dove vogliono, ma hanno un ticket aziendale per restare dentro la sede e venire da noi». Intanto 200 dei citati 1.000 pasti al giorno preparati da Foorban vengono consumati lì. Nei prossimi mesi i fondatori chiuderanno i contratti con altre tre aziende. Questo il domani. E dopodomani? «Contiamo - conclude Cavaleri - di raccogliere un ingente investimento l’anno prossimo, dopo il milione e mezzo di euro di quest’anno. La nostra visione punta sull’allargamento del retail. Da un lato perché sono talmente tante le aziende che ci stanno contattando, dall’altro perché la crescita come brand multicanale ci porta a considerare il travel retail, dalle stazioni agli aeroporti».