Far interagire pasticceria e cucina, non sprecare nulla, utilizzare attrezzature di riciclo. Sono i concetti chiave di Èvviva. Parola di Franco Aliberti
C'è voluto un anno sabbatico per Franco Aliberti, pastry chef d'eccellenza, per arrivare a realizzare il suo sogno, in quel di Riccione. Poco più di 12 mesi sono infatti passati da quando Franco ha lasciato la tristellata Osteria Francescana di Massimo Bottura, inseguendo un obiettivo: creare un proprio locale. Ma di certo non un ristorante come tanti. “Èvviva - dolci e cucina a scarto zero”, inaugurato in aprile (70 coperti) riunisce in sé varie “anime”: è fondamentalmente pasticceria e ristorante, caffetteria e bar, ma anche scuola di cucina, galleria d'arte e shop (evvivariccione.it).
Il tutto sotteso da un forte spirito green e intenti di solidarietà sociale: buoni propositi che accomunano Aliberti e il suo socio Andrea Muccioli, figlio del fondatore di San Patrignano.
Èvviva nasce negli spazi una volta occupati dalla vecchia lavanderia del Grand Hotel: 298 mq (che includono una foresteria per ospitare stagisti e collaboratori) e altri 302 mq di pertinenze esterne, di cui una parte è stata destinata a orto biologico e didattico.
Attrezzature usate, sedie comprese
Costo totale per la realizzazione del progetto 186mila euro, ovvero 625 euro/mq, compresi i costi di ristrutturazione, arredi (alcuni di recupero, come 45 sedie malridotte e gettate in discarica, amorevolmente restaurate) e attrezzature (quelle di cucina, di Zanussi, sono state acquistate usate). Perché qui lo “scarto zero” non è solo un concetto con cui farsi belli.
«Il compito del cuoco - dice Aliberti - dovrebbe essere quello di rendere importante qualsiasi ingrediente, è troppo facile farlo con quelli “importanti”. Spesso l'alta cucina non va d'accordo con questo concetto. Io nasco pasticcere e per me giostrarmi fra mondo dolce e salato, basandomi su questi principi anti spreco, è una grande sfida. La testa di un pasticcere messa a disposizione della cucina fa scaturire idee, procedure, metodi. In pasticceria ci sono chimica e fisica da conoscere, devi sapere come reagisce un uovo o come si comportano gli zuccheri, mentre in cucina si tende ad “arrangiare” di più. Questo porta ad applicare nuovi criteri, studiare insolite combinazioni di elementi e consente l'ottimizzazione degli aspetti gestionali».
In cucina lavorano quattro persone e tre in pasticceria, oltre ad Aliberti che è il vero e proprio jolly dei due reparti, che condividono alcuni spazi, facilitando il lavoro di sovraintendere al tutto.
Anche se il primo impatto rimanda al concetto di ristorante, grazie alla cucina a vista, l'obiettivo è che cucina e pasticceria-caffetteria abbiano pari “peso” nel business. «È ancora troppo presto - ammette Franco - per fare dei bilanci, ma stiamo notando che le colazioni prendono piede, l'aperitivo piace e anzi lo potenzieremo. L'obiettivo è lavorare a ogni ora della giornata, con proposte adeguate».
Carta “anarchica”
E veniamo alla carta. Quella dei vini, curata da Andrea Muccioli, enumera una cinquantina di etichette (tutte anche al calice) che variano ogni due mesi; piccoli produttori, scelti grazie alla grande esperienza di Andrea. Quanto al menu della cucina, che prevede anche la mezza porzione e cambia ogni due mesi circa seguendo la stagione, non è strutturato nella solita modalità primo-secondo-dessert, ma i piatti sono elencati a seconda dell'ingrediente principale. Una scelta di semplificazione e, per agevolare ulteriormente il cliente, accanto a ogni proposta ci sono dei pallini rossi che indicano il gusto prevalente del piatto: acido, dolce, amaro, salato.
Così, per esempio, la tradizionale Pappa al pomodoro (a 6 euro nella porzione da assaggio, 10 in quella normale) è classificata con due pallini alla voce “acido” e con un pallino ciascuno alle voci “dolce” e “salato”. Mentre il dessert Mela (mela speziata, pere, diversi tipi di pepe, biscotto croccante, a 9 euro, 6 la mezza porzione) ha in classifica due pallini alla voce “dolce” e uno ciascuno per salato, acido e amaro.
Il “cuore dolce” del pasticcere Aliberti emerge anche in questi aspetti. «Quando lavoro in cucina - dice - mi vengono in mente nuovi abbinamenti, spesso a tendenza dolce, perché la linea che divide dolce da salato è sottile; se ad esempio preparo un piatto dolce con la pelle del pollo e la patata, per molti potrebbe essere difficile accettarlo.
Da qui l'idea di mettere in evidenza con i pallini il gusto prevalente di una vivanda, che aiuta chi non è abituato a spingersi verso piatti insoliti».
A sorpresa, il piatto più richiesto al ristorante è lo spaghetto al pomodoro. Che, ovviamente, non è “il solito”. Spiega Aliberti: «Lo spaghetto è cotto direttamente in una passata di pomodori crudi ben maturi, privati dei semi (che dopo un processo di sabbiatura utilizzo in un dolce), con l'aggiunta delle bucce essiccate e ridotte in polvere in fase di mantecatura. La pasta assorbe i liquidi del pomodoro, rilasciando una parte di amidi, che ispessiscono il sugo. Il risultato è una pasta con una nota fresca e un colore meno rosso del solito».
Un altro esempio è il riso che viene stracotto, poi essiccato e soffiato per realizzare delle cialde per la pasticceria; la sua acqua di cottura è utilizzata per insaporire una ricetta di pesce. Insomma un'interazione totale fra cucina e pasticceria.
A servizio (il locale è aperto a pranzo e cena) la media è di 50 coperti, che aumentano a una settantina nel fine settimana, con un ticket dai 30 ai 50 euro, cifra abbordabile che attira anche molte famiglie. Per ora non c'è un menu degustazione, che però è in programma perché, conclude Aliberti «la clientela ce lo chiede».