L’Argine, un menu tutto orto e cucina

Solo quindici coperti e intorno un ettaro di terreno per coltivare fiori eduli e verdure. All'Argine brilla la stella di Antonia Klugmann

Un ristorante lungamente pensato e creato su misura. Magari con pochi coperti, dove cucinare seguendo solo la propria ispirazione. È il sogno di molti ristoratori, un sogno che Antonia Klugmann e Romano De Feo hanno realizzato con L’Argine a Vencò, nel cuore Collio goriziano. Ci sono voluti ben 5 anni di lavori, rallentati dagli intoppi burocratici e dagli impegni altrove, primo fra tutti l’esperienza del ristorante Venissa sull’isola di Mazzorbo, nella laguna veneziana, dove Antonia e Romano - lei chef, lui maître sommelier, compagni nella vita - hanno conquistato la loro prima stella Michelin. A dicembre 2014, è arrivata l’apertura de L’Argine.
«Abbiamo costruito quello che ci eravamo prefissati - racconta Antonia -, ossia un ristorante per un massimo di 15 persone. Tutto è dimensionato su questa misura. Questo significa che posso cucinare in tranquillità e non ho lo stress di dover fare tanti coperti per pagare le spese, il personale o gli investimenti». Quattro tavoli, quattro camere b&b, una cucina con 4 fuochi e tre persone: Antonia, una sous chef e uno stagista. In sala, Romano De Feo con pochi collaboratori. Il ristorante è un edificio basso dalle linee contemporanee, costruito di fianco a un mulino in pietra della fine del ‘600, al centro di un ettaro di terreno. Un contesto bucolico, a poche centinaia di metri dal confine con la Slovenia. Grandi vetrate permettono a chi mangia di posare lo sguardo sull’orto, gli alberi da frutto, vigneti e colline. Proprio l’orto è la chiave di volta per entrare nella cucina di Antonia, che già a Venissa si era segnalata per la sensibilità nel cucinare le verdure. Il menu è ritmato dal passare delle stagioni e dal quel che matura giorno per giorno: radicchi, cavoli e carciofi, cicoria e puntarelle, fave e piselli, erbe aromatiche e piccoli frutti. Un paio di piatti esemplificano la cucina di Antonia.

Il primo è Spinaci, noci di Vencò. Queste le componenti: letto di salsa allo yogurt, salsa di noci tostate, variazione di verdure del momento (per esempio, cavolo nero, cavolo riccio, verza), silene e spinaci appena raccolti. «È una specie di insalata di verdure calde e fredde, ogni giorno diverse», spiega Antonia. Un altro piatto emblematico è Orzo e farro, a base di cereali dalla vicina tenuta biologica Jermann. La base è una salsa da estratto di orzo, poi orzo e farro bolliti separatamente e mantecati con puré d’orzo, il tutto condito con puré di radici amare crude. Di fatto, solo due ingredienti locali, interpretati in una maniera che prescinde dalla tradizione.
«La mia idea di territorio è legata alla consapevolezza che pochi nascono e muoiono nel luogo in cui sono nati. La cucina della memoria personale, la tradizione locale e gli ingredienti locali sono tre concetti diversi. Ognuno di noi si sposta, viaggia, fa esperienze altrove; quel che fa la differenza è l’approccio alle materie prime che trova in un luogo. Per me, l’ingrediente è l’ispirazione: più è vicino, fresco, locale, più io sono ispirata. L’interazione è personale; nel mio caso, ho dentro di me l’essere persona di confine e, di conseguenza, forse più aperta a influenze diverse».  In menu ci sono tante verdure, ma non solo. Perché l’Argine a Vencò non è un ristorante vegetariano e, di nuovo, il territorio determina le scelte. «Per ovvi motivi geografici, cucino più carne e meno pesce di quando ero a Venezia - racconta Antonia -. Da un paio d’anni il mio rapporto con la carne è ben definito: uso solo tagli poveri, quelli che gli altri non vogliono, come panza di maiale, trippa e nervetti, possibilmente provenienti da animali non allevati in maniera intensiva. E poi cacciagione e selvaggina, come cinghiali, cervi, quaglie».

Un’abbondanza che si può apprezzare scegliendo il menu a mano libera “Territorio: vita e movimento”, che al prezzo di 100 euro propone 10 portate in base alla disponibilità del giorno. Ci sono anche un menu di sei portate a 70 euro, uno di cinque piatti a 58 euro e una piccola carta.
«I piatti in carta non cambiano molto spesso e alcuni si trovano sempre - spiega la chef -. Abbiamo molti clienti abituali e altri che arrivano per la prima volta e vogliono assaggiare piatti di cui hanno letto. Questo doppio rapporto con la clientela mi piace molto».
Il bilancio a un anno dall’apertura è positivo, sottolineato dalla stella Michelin arrivata giusto in tempo per festeggiare il primo compleanno del ristorante. «Abbiamo cominciato sottovoce - racconta Antonia -. È il vantaggio dello stare in campagna: non abbiamo avuto la pressione dei riflettori accesi su di noi nel periodo più delicato. E mese dopo mese continuiamo a crescere».

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome