Luca Iannuzzi firma il recupero dell’ex Tesoreria del Banco di Napoli (con Marco Ambrosino a guidare la cucina)

CRO 16 gennaio 2021 Galleria Principe di Napoli, l'ex Tesoreria diventerà un libreria con ristorante e bistrot grazie all'imprenditore napoletano Luca Iannuzzi. Newfotosud Sergio Siano
L’ex Tesoreria del Banco di Napoli, in Galleria Principe di Napoli, ospita ora caffetteria, cocktail bar e il ristorante Sustanza con Marco Ambrosino

Non è solo la Napoli del pallone a poter esultare con ampio merito. Nel pieno centro cittadino, infatti, l’imprenditore Luca Iannuzzi ha da poco terminato il recupero di un autentico gioiello della storia della città: l’ex Tesoreria del Banco di Napoli in Galleria Principe di Napoli, dove ha (ri)visto la luce uno dei caffè cantanti più noti del Paese, con una formula dinamica, per candidarsi a luogo di ristoro d’eccellenza, su più dimensioni e per più destinatari. 

L’intera struttura occupa seicento metri quadri, che inglobano una biblioteca storica sulla Napoli borbonica, la caffetteria con bistrot e il cocktail bar ScottoJonno al piano terra e il ristorante gourmet Sustànza al primo piano sotto la guida di Marco Ambrosino. 

Marco Ambrosino
Il pastry chef Federico Andreini, lo chef Marco Ambrosino con il sous chef Domenico Cerrone.

Formatosi tra Ischia e un breve stage al Noma di Copenaghen, Ambrosino ha accettato l’incarico spinto anche dal desiderio (già accarezzato negli ultimi anni) di riavvicinarsi a casa e dall’occasione di confrontarsi con una dimensione del tutto nuova, sia per lui che per la città: «Non potevo perdere un momento di così importante confronto e soprattutto l’apertura di una realtà mai vista prima in città, e in Italia. Lo stimolo più grande è far diventare contemporaneo un progetto del genere. La nostra ristorazione va riducendosi per numeri e spazi, soprattutto al Sud, e invece facciamo una scommessa di dimensioni enormi. Un concetto come ScottoJonno è abbastanza attuale nel resto del mondo, ma qui può tranquillamente essere definito innovativo». Una vera e propria opera di restauro, sia cittadino che strutturale: «Un esempio di collaborazione pubblico-privato - afferma Iannuzzi -, una sinergia nella quale un bene di proprietà del Comune viene messo a bando con regolare assegnazione e contratto di fitto, dando la possibilità a un privato, a determinate condizioni, di realizzare un concetto che abbini alla somministrazione anche un aspetto socio-culturale». L’intero progetto ricrea l’atmosfera di inizio secolo, con arredi in stile déco, utilizzando pezzi e complementi di arredo originali dell’epoca (si vedano le due figure di donne che reggono un globo, o i due aironi in bronzo sul bancone), acquistati da vari antiquari.

E Vincenzo Scotto Jonno

Del resto il nome del bar si ispira al cognome di Vincenzo Scotto Jonno, che nel 1883 fondò l’omonimo caffè cantante tra queste stesse mura, rendendolo in breve un polo fondamentale per la cultura partenopea. Scotto Jonno era procidano, e quasi naturale è stato il richiamo per lo chef Marco Ambrosino, originario della stessa isola del Golfo e oggi alla guida del programma food. 

«Avere un procidano al timone ha senz’altro senso nell’ottica della continuità - commenta Iannuzzi - ma ho sempre ammirato gli slanci e le sperimentazioni di Marco Ambrosino, insieme alla sua attenzione per la bellezza oggettiva. È un eccellente disegnatore, ogni piatto che propone è collegato a un suo schizzo: e questo da una parte mi ha colto di sorpresa e dall’altra mi ha ispirato».

Una filosofia che continua

Da Sustànza lo chef riprende da dove aveva lasciato dopo l’addio al 28 Posti, il suo ristorante milanese: «Ho sempre mantenuto una mia identità, senza mai inquadrarmi o seguire le tendenze. Non accantono nulla di quanto fatto finora, ma ovviamente mi conformo a queste nuove latitudini. Ricontestualizzo qui il mio lavoro, non c’è stata una cesura con il passato». 

Resta quindi salda l’impostazione del lavoro di Ambrosino, che pur utilizzando ingredienti di prossimità, raccoglie ispirazione e metodi, paradossalmente, più dall’aspetto «antropologico, che da quello tecnico - dice -. Non rincorriamo quello che funziona adesso, ma rischiamo e immaginiamo il cibo del futuro, comprendendo dove ci troviamo». 

Territorio, semplicità e solidità

Il menu risponde quindi a questi precisi dettami, che parlano anche di rapporto con il territorio, semplicità e solidità, capaci di regalare anche spunti culturali, come la cornice è stata abituata a fare. Sostanza, appunto. Uno dei piatti di maggior rilievo è un connubio tra pesce azzurro e fiori della macchia mediterranea: «Si racconta così un dualismo che in città è piuttosto presente. Una materia storicamente povera ma deliziosa, che si unisce a un prodotto, come i fiori freschi, solitamente appannaggio di un ceto sociale più ricco». 

La s perimentazione

Non manca però la sperimentazione, come si nota ad esempio dal lavoro fatto con la carne di pecora, che viene seguita e curata fin addirittura dall’alimentazione dell’animale, fornito da un produttore irpino, che si serve esclusivamente di fieno. La formula del bistrot, ovviamente più agile, segnala un’ulteriore apertura verso il respiro internazionale: il locale rimane infatti aperto dalle 12 alle 24 senza interruzione, così che «chi atterra a Napoli al pomeriggio e desidera pranzare, anche fuori dagli orari classici, può farlo senza problemi. Cosa non scontata, da noi». 

La ristorazione può dunque essere traino per questa avanguardia, ma serve un cambio di marcia, secondo Ambrosino: «Si dovrebbe puntare sulle peculiarità singole, che vanno a infoltire una varietà italiana ricchissima. Invece si tende ad appiattirsi, ad accomunarsi gli uni con gli altri e fare sempre le stesse cose. C’è bisogno di particolarità, specificità, per valorizzare anche i professionisti italiani che sono eccellenti. Seguire meno le mode, ed esprimere di più la propria personalità».

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