Una volta, ai primi caldi, si tiravano fuori quattro tavolini, due ombrelloni, otto sedie di metallo e filo di plastica intrecciato e voilà: il dehors era fatto, con l’aggiunta, magari, di una bella tovaglia a scacchi, una lavagna del menu e un mobiletto in legno con piatti e posate puliti. Ma questi erano gli anni Sessanta e Settanta.
Ora, aprire al ristorante uno spazio sull’esterno è qualcosa di molto più complicato. E costoso. Imposte per l’occupazione del suolo, obblighi di conformarsi all’arredo urbano, codici colore, nulla osta del condominio e dei negozianti vicini sono soltanto alcuni degli obblighi a cui deve sottoporsi un gestore che intenda ampliare la propria attività sul lato strada. Fare un compendio universalmente valido delle cose da fare e delle pratiche da sbrigare è davvero impossibile, perché nell’Italia del federalismo sembra proprio che l’argomento dehors sia quello con il maggior numero di interpretazioni e varianti. Ogni Comune ha le proprie regole, spesso discordanti rispetto a quelle delle località limitrofe. Per districarsi non c’è altra strada che individuare gli uffici comunali competenti e rivolgersi a loro.
Però ci sono segnali positivi. Le amministrazioni comunali sembrano sempre più rendersi conto che i dehors dei ristoranti (così come dei bar) non sono soltanto un’occasione di business in più per le attività, ma anche un modo per migliorare la fruizione della località stessa, soprattutto quando è turistica.
Non sono pochi i centri che stanno studiando modi per agevolare la creazione di spazi esterni, magari in cambio di servizi aggiuntivi per la clientela da parte del locale. Per esempio, è sempre più viva l’idea della struttura permanente, che possa essere fruita tutto l’anno, anche nelle fredde città del Nord Italia. A contribuire al diffondersi di questo modello di dehors sono anche nuove tecnologie e tecniche di montaggio innovative, che consentono di creare strutture chiuse e completamente vetrate in modo molto rapido e di riscaldarle facilmente, senza eccessivi aggravi dei consumi elettrici.
Il loro sviluppo ha indotto molti comuni a eliminare la distinzione tra dehors estivo e invernale, che spesso imponeva di smontare la struttura per un certo periodo per poi rimontarla, esattamente identica, all’avvio della nuova stagione. In alcune città, per esempio a Firenze, si è chiesto ai ristoratori che intendono aprire un dehors di offrire wi-fi gratuito, eliminare le barriere architettoniche e dotare i bagni di fasciatoi, in modo da rendere più capillari certi servizi. Insomma, gli spazi all’aperto dei ristoranti non sono più considerati dai comuni soltanto alla stregua di seccature. Può essere allora un’idea interessante, per il gestore, verificare se la propria città preveda agevolazioni o facilitazione per la loro installazione. Un’attenta valutazione dei pro e dei contro potrebbe rivelare interessanti margini per arricchire il business.
Valutate le opportunità è d’obbligo definire i costi. Quelli legati a imposte e tassazioni, come abbiamo visto, cambiano da Comune a Comune, ma anche nella stessa città possono variare moltissimo, perché un conto è aprire un dehors a Roma in piazza Navona, un altro è farlo in una zona periferica. Nel primo caso (zone “speciali”), per un dehors per 90 giorni, si può spendere tra i 226 e i 325 euro, nel secondo (zone “normali”) tra i 117 e i 169 euro, senza contare eventuali detrazioni se il dehors risponde a criteri di decoro urbano definiti da bandi comunali.
I costi di realizzazione variano in base al tipo di progetto, ai professionisti cui ci si affida e, naturalmente, alla metratura. Il ricorso sempre più diffuso a strutture permanenti è giustificato dal fatto che, pur aumentando il valore dell’imposta per l’occupazione del suolo, diventa più vantaggioso prolungare su 12 mesi l’ammortamento del costo, eliminando al contempo le spese di montaggio e smontaggio. Il sempre maggior affinamento dei sistemi di prefabbricazione consente oggi di creare dehors sostenuti da strutture leggere, con coperture rigide e chiusure vetrate sui 4 lati, che si possono aprire d’estate e chiudere d’inverno. Si tratta di soluzioni semipermanenti, che si montano facilmente e offrono un vantaggio in più: la possibilità di chiuderle completamente d’inverno permette anche una climatizzazione più efficiente, con sistemi di riscaldamento non soltanto a fiamma (come i classici “funghi”) ma anche a erogazione d’aria in grado di controllare la temperatura come se ci si trovasse in un ambiente interno. In questi dehors chiusi non è possibile fumare. E, d’altra parte, sta crescendo il numero di Comuni che hanno emesso ordinanze contro il fumo anche nei gazebo e nei dehors aperti. In questo caso, i fumatori dovranno essere gentilmente invitati a fumare fuori.
Nella foto: uno dei due dehors di Altis Belém Hotel a Lisbona, un hote di design con spa e ristorante Feritoia, guidato dallo chef Joao Rodrigues. La struttura ha due dehors: uno è l’estensione esterna del ristorante, affacciato sul porticciolo, con 24 tavoli da 2 persone; l’altro, arredato con divanetti imbottiti e tavolini bassi, è un punto di relax pre e post dinner. Gli arredi sono stati forniti dal gruppo spagnolo Gandiablasco, su progetto di interior design dello studio di architettura FssMgn di Lisbona, che ha collaborato con lo studio Risco, anch’esso di Lisbona, che ha curato il progetto complessivo della struttura.