Questione personale, il mea culpa della scuola

Torniamo sul tema della formazione e ricerca del personale. Qual è il ruolo degli istituti alberghieri in Italia e come possono intervenire? Lo spiegano qui le voci di docenti, presidi, chef e studenti

«Non riusciamo a diplomare personale sufficiente a soddisfare le esigenze di hotel e ristoranti - dice Stefano Rotondi, preside dell’Istituto alberghiero “Pellegrino Artusi” di Riolo Terme -. Tutti gli studenti trovano lavoro entro poche settimane dal diploma. Addirittura ci sono ragazzi che iniziano a lavorare già mentre frequentano la quarta classe».

E tuttavia il personale scarseggia. Abbiamo voluto saperne di più intervistando docenti e allievi. L’occasione? La ventottesima edizione del Piatto Verde, rassegna gastronomica organizzata dall’istituto ravennate e IF Imola Faenza Tourism Company e che ha visto coinvolti quest’anno ben dodici istituti alberghieri.

Il compito degli istituti

Marco Feruzzi, docente di cucina presso l’Ipssar di Riolo Terme

«Il compito degli istituti alberghieri è quello di fornire ai futuri operatori le basi per iniziare un percorso professionale qualificato, ma anche quello di creare una coscienza critica affinché si approccino al mondo del lavoro, contrattualmente parlando, nel modo giusto, rifiutando salari inadeguati o, peggio, in nero - dice Marco Feruzzi, docente di cucina presso l’Ipssar di Riolo Terme -. Al tempo stesso però, la scuola ha anche il compito di far capire all’allievo che, per potere pretendere compensi elevati, deve prima maturare la necessaria esperienza». Si tratta quindi di un’impasse dalla quale non sembra facile uscire. Conferma Feruzzi: «Il percorso scolastico all’interno degli istituti alberghieri si è sempre più discostato dalla pratica alla quale sono riservate pochissime ore, soprattutto nei primi due anni. In questo modo diventa difficile insegnare davvero cosa significhi realmente lavorare nella ristorazione».

Stefano Rotondi, preside dell’Istituto alberghiero “Pellegrino Artusi” di Riolo Terme

Da qui la necessità di allontanare gli allievi da quella finta realtà creata dall’esposizione mediatica degli chef. Un dato riferito dal preside Rotondi è particolarmente significativo di quello che è stato chiamato nel settore “effetto Masterchef”: «Tra il 2013 e il 2015 abbiamo registrato un boom di iscrizioni, una domanda che superava i posti a disposizione. Ma si è trattata di una parentesi».

Immagine distorta

«Invece di apportare vantaggi, questo fenomeno ha restituito un’immagine sbagliata e poco reale del mestiere del cuoco. Nel reparto sala questo non è successo e ciò non ha così generato facili illusioni di successo», sottolinea Marco Feruzzi.

Roberto Carcangiu
Roberto Carcangiu, chef e presidente dell’Apci, Associazione Professionale Cuochi Italiani

«Il nostro settore offre, soprattutto ai giovani, condizioni di impiego poco entusiasmanti, ben lontane dal modello televisivo di chef che, loro malgrado, rappresentano un’immagine della realtà ben diversa da quella che si vive quotidianamente nelle cucine e nelle sale - dice Roberto Carcangiu, chef e presidente dell’Apci, Associazione Professionale Cuochi Italiani -. Lavorare in un ristorante è faticoso e arduo, è una professione che si svolge nelle ore in cui tutti si stanno svagando: ecco perché occorre trasmettere una grande motivazione agli allievi».

L'importanza di contratti equi

Insomma, chi veramente ha voglia di mettersi in gioco non ha problemi a trovare un’occupazione. Però, troppo spesso, si trova ad affrontare orari insostenibili con contratti al di fuori di ogni logica e regola. Feruzzi non perdona le dinamiche più comuni del comparto: «Non possiamo più ragionare come quarant’anni fa quando cuochi e camerieri lavoravano molte più ore al giorno di quanto avrebbero dovuto, spesso senza giorno di riposo e con contratti non a norma. Se veramente vogliamo valorizzare le professioni nel mondo della ristorazione dobbiamo trovare un equilibrio che dia la possibilità ai dipendenti di lavorare bene, ma anche avere il giusto tempo per sé stessi».

«La principale problematica che lamentano i giovani una volta entrati nel mondo del lavoro - Rotondi - è una retribuzione scarsa. Noi cerchiamo di inculcare nei ragazzi l’amore per questa professione poiché se si svolge con soddisfazione è più facile considerare certi compensi come punto di partenza per una carriera di crescenti gratificazioni. Ma ci sono dei limiti ed è giusto che anche a un giovane sia dato il giusto riconoscimento economico altrimenti anche chi è appassionato cambierà strada o andrà all’estero, dove la professionalità italiana è più riconosciuta e gratificata». 

«È necessario aggiornare il percorso di studi»

Marco Feruzzi spiega poi come sia necessario aggiornare il percorso di studi, non più adeguato al mondo professionale odierno. «Per esempio servirebbe l’istituzione di un corso istituzionale di specializzazione successivo alla maturità, che oggi non esiste. Dopo i cinque anni di alberghiero, la formazione dovrebbe idealmente proseguire nel mondo del lavoro con un periodo di affiancamento tecnico-pratico sul campo da parte dei docenti, creando così continuità fra scuola e azienda». Alla luce di questa attualità, quindi come innalzare il livello di competenze e di propensione al lavoro degli studenti? La soluzione che auspica il docente di Riolo è un aumento delle ore di attività pratica e di lingue straniere.

«Oggi, le attività pratiche sono svolte di corsa, senza approfondire alcuni aspetti del lavoro di cucina. Invece, si dovrebbero analizzare meglio tutto il processo produttivo della stessa, dalle materie prime al food cost».

Formazione parziale senza le necessarie materie prime

Ma al riguardo c’è un problema economico. «Vorremmo far esercitare i nostri ragazzi nei laboratori delle cucine con la più ampia gamma possibile di materie prime - afferma Rotondi -. Ci piacerebbe, per esempio, far esercitare i ragazzi di quinta con il pesce, cucinando e servendo portate di qualità come l’aragosta, ma sarebbe una spesa non sostenibile».

Si tratta di una situazione inaspritasi nell’ultimo anno a causa dell’aumento dei prezzi delle materie prime e delle crescenti difficoltà di convogliare le risorse statali per il corretto funzionamento della scuola. Rotondi racconta che sul territorio sono presenti imprenditori illuminati che fungono da sponsor inviando prodotti e contribuendo con donazioni per far esercitare al meglio gli studenti, ma, dice il preside: «Questi  singoli casi non consentono di sanare una situazione da anni in stallo». 

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