Esiste davvero il tappo perfetto?

Sughero o nuovi materiali? Al cliente tradizionalista rispondono i professionisti piu aperti e consapevoli delle innovazioni

Se la storia di un buon vino nasce in vigna e continua in cantina, vive sicuramente uno dei suoi momenti più importanti quando viene stappato. Il gesto del sommelier che estrae il tappo e lo annusa è il momento rivelatore delle qualità di un prodotto che ha compiuto una lunga strada per arrivare sulla tavola di un ristorante. E in tutto questo le chiusure giocano una parte importante. Negli ultimi trent’anni la qualità di questi prodotti è cambiata drasticamente per effetto della crescita del mercato e dei volumi prodotti, dell’ingresso di nuovi Paesi produttori, che si sono aggiunti a quelli dell’area europea, e dei miglioramenti introdotti dalla ricerca e dalle nuove tecnologie.

È successo poi che la produzione di sughero sia calata per effetto della riduzione dei boschi di sughera, la specie di quercia (Quercus suber) che vive solo nell’area mediterranea e in Nord Africa e che è l’unica fonte di questo straordinario materiale. Una dinamica che viene così riassunta da Giuseppe Meglioli, enologo e consigliere nazionale di Onav, l’Organizzazione nazionale assaggiatori di vino: «La crescita della produzione vinicola ha introdotto sul mercato troppo vino in bottiglia rispetto alla reale disponibilità di sughero di alta qualità. I tappi monopezzo, quelli migliori, non sono stati più sufficienti per coprire il fabbisogno e così i produttori hanno fatto ricorso da una parte ai tappi agglomerati, e dall’altra hanno spinto per uno sfruttamento sempre più intenso delle sugherete. Il risultato ha portato a una progressiva riduzione della qualità dei tappi di sughero, che alla fine ha spinto all’introduzione di nuovi tipi di chiusura: capsule metalliche, sintetici, tappi in vetro».
Questo avveniva negli scorsi decenni. «A quei tempi – dice ancora Meglioli – il vino che sapeva di tappo era considerato una sfortuna. Poi si è cominciato a studiare il fenomeno e a capire che la qualità del sughero usato giocava un ruolo fondamentale». Sono state individuate le cause del difetto ed è stat misurata l’incidenza sulla produzione (vedi box nelle pagine seguenti). Per ovviare al problema sono dunque comparse dapprima soluzioni alternative a quelle naturali e poi i produttori di tappi in sughero, che normalmente possiedono o controllano anche grandi estensioni di boschi tra Portogallo, Spagna, Italia e Nord Africa, hanno cominciato a correre ai ripari, curando sempre di più la coltura e la salute delle piante e sviluppando nuove tecniche produttive.

Si è arrivati così a uno scenario in cui quasi ogni produttore adotta strategie e prodotti diversi per la tappatura dei propri vini. E il moltiplicarsi dei tipi di chiusura ha determinato anche qualche cambiamento per il ristoratore, che ora si trova a gestire una variabilità di situazioni un tempo sconosciuta. Un tappo a vite, per esempio, richiede al sommelier una gestione diversa del servizio rispetto al tradizionale sughero e pone domande nell’avventore che, soprattutto in Italia, spesso si chiede se l’adozione di un tappo diverso da quello tradizionale sia sinonimo anche di una qualità inferiore del vino.
A mescolare ancora di più le carte è il forte aumento della velocità con cui le aziende del settore lanciano sul mercato nuove soluzioni, tecnologie e materiali. L’ultima edizione di Simei, la fiera dedicata alle tecnologie della filiera vitivinicola, che si è tenuta a Milano dal 3 al 6 novembre scorsi, ha visto l’annuncio di diverse novità. L’italiana Labrenta Sugheri, per esempio, ha presentato un nuovo tappo agglomerato, denominato Sughera, che non utilizza collanti per tenere uniti e compatti i granuli di sughero che lo compongono, ma un sistema innovativo e brevettato. Amorim, il colosso portoghese del settore, al primo posto per la quantità di tappi di sughero prodotti, ha introdotto una serie di nuovi prodotti, tra cui Helix, un tappo di sughero a vite, che si estrae dalla bottiglia con le mani e che può essere facilmente reinserito a mano. È stato pensato per vini che devono stazionare poco in bottiglia. Da tempo il gruppo francese Diam ha sviluppato un sistema di produzione di tappi agglomerati che elimina i cattivi sentori attraverso un trattamento brevettato del granulato di sughero, effettuato alla temperatura di circa 100 °C in un’atmosfera di anidride carbonica allo stato “supercritico”, in cui cioè il gas mostra contemporaneamente proprietà di fluido e di liquido. Anche sul fronte dei tappi sintetici si è fatto molto per renderli sempre più simili nelle prestazioni a quelli di sughero. Il gruppo Nomacorc, per esempio, uno dei leader del settore, ha sviluppato tappi che consentono lo scambio gassoso con l’esterno della bottiglia e di modularlo, a seconda della tipologia di vino. In questo modo è possibile avere chiusure calibrate perfettamente sul tipo di prodotto che si desidera imbottigliare, in una varietà virtualmente infinita di opzioni.

Ma al di là delle novità proposte dalle aziende, quali sono le opinioni dei professionisti del servizio del vino, ristoratori e sommelier soprattutto, sull’importanza del tappo? La sensazione è che, pur con una grande apertura verso le tecnologie e le soluzioni innovative, che vengono viste con spirito positivo, i professionisti del servizio continuino a preferire i tappi in sughero. Sono oggetti intimamente legati alla tradizione del vino, che richiamano una storia, gesti, rituali ormai consolidati ed entrati nelle abitudini dei consumatori. Questo vale soprattutto per i ristoranti di alto livello, con un’elevata qualità del servizio. Nuove soluzioni, che permettono invece di richiudere facilmente la bottiglia, trovano un comodo impiego nei wine bar o in locali dove si propone più di frequente un consumo al calice. Parliamo in questo caso di tappi a vite o di vetro. Mentre in genere si può dire che i tappi sintetici o le capsule metalliche siano in genere più capiti dal ristoratore per i vini bianchi, che in Italia hanno in genere un consumo veloce, entro un anno o poco più dall’imbottigliamento. Prodotti che non hanno bisogno di affinamenti in bottiglia ma, piuttosto, di soluzioni che consentano la perfetta conservazione.

TRE OPINIONI A CONFRONTO

Stefano De Vicari - Sommelier e degustatore Ais Miglior sommelier Veneto ’09

In un contesto tradizionalista come l’Italia il sughero naturale va benissimo in vini che richiedano un lungo affinamento. È però un materiale naturale, che ha un lungo ciclo di produzione legato alla crescita della pianta, un percorso di ben 9 anni. Nel caso di vini giovani o non invecchiati sono perciò dell’idea che si possa tranquillamente utilizzare un tappo a vite o un tappo sintetico. Certo, dipende anche dal target a cui il vino è destinato.

Il tappo che mi ha colpito
Se devo citare un produttore, penso all’azienda vicentina LaBrenta, i cui titolari promuovono una continua ricerca su nuove chiusure. Tra queste c’è Sughera, il primo tappo prodotto senza collanti e completamente riciclabile, che l’azienda ha presentato di recente. Molto intensa anche la ricerca avviata da LaBrenta sul TCA, la molecola responsabile del “sentore di tappo” oggi ancora in corso.

Giuseppe Meglioli - Enologo - Consigliere nazionale Onav

La scelta del tappo è collegata al tipo di vino. Se si ha un prodotto che tende ad andare in riduzione è fondamentale creare uno scambio gassoso tra l’interno e l’esterno della bottiglia e quindi utilizzare un tappo in sughero o un tappo tecnico che renda possibile questo scambio. Altrimenti si può benissimo optare per altre soluzioni. Questo impone anche ai sommelier di cambiare gesti e riti. L’atto di estrarre il tappo e di annusarlo finirà per avere sempre meno senso.

Il tappo che mi ha colpito
Tra i tanti tappi ricordo quelli diNomacorc e, in particolare, il Select Bio, un tappo tecnico realizzato con polimeri a base vegetale che è quasi indistinguibile dal sughero e in più consente di avere uno scambio gassoso interno esterno. Ciò permette il giusto apporto
di ossigeno al vino anche durante la fase di invecchiamento.

Ottavio Licitra Venditto - Sommelier Ais, campione d’Italia 2014, Wine Manager JW Marriott Venice

Il tappo di sughero per me è insostituibile. Consente di sviluppare quel rituale di fronte al cliente che è anche il punto centrale, il cuore dell’interazione con l’ospite. Di avere, in altre parole, quel minuto o poco più a disposizione in cui è possibile raccontare il vino, spiegare le sue caratteristiche e la sua unicità. In un mercato come quello italiano poi, molto legato alla tradizione, il tappo di sughero è un sinonimo di qualità. Certo è innegabile che i tappi sintetici o a vite possono essere funzionali a certi vini.

Il tappo che mi ha colpito
I monopezzo Amorim, azienda che ho visitato in Portogallo e che pone grande attenzione alla gestione delle piante e di tutta la filiera. Sono davvero sugheri di grande qualità e credo, in tutta la mia carriera, di avere trovato non più di 3 o 4 bottiglie difettose chiuse con tali tappi.

 

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