Fare la differenza con il pane

Con lievito madre o grano arso. Farcito o con ingredienti local. Sfornato al momento. La proposta del pane può essere tutt’altro che banale. E al ristorante si fa notare

Gli italiani mangiano sempre meno pane. Al ristorante, però, non ci rinunciano. Anzi, proprio perché ne mangiano meno, quel poco deve essere buono. Non stupisce allora scoprire che oggi un decimo di tutto il pane prodotto dalle panetterie artigianali finisce sulle tavole dei locali pubblici (fonte: Aibi-Cerved). E che molti esercizi se lo facciano in casa, un modo per dargli ancora più valore. Sono per lo più ristoranti top, certo, ma anche alcuni locali per i quali il pane è uno degli ingredienti fondamentali dell’offerta, in prima fila quelli che offrono panini e hamburger gourmet. Aggiungiamo il revival del pane di qualità, prodotto con metodi tradizionali, che negli ultimi anni ha portato a focalizzare l’attenzione sulla selezione delle farine e dei lieviti e sui metodi di lievitazione. Si capisce, allora, perché il pane possa diventare un elemento distintivo e caratterizzante. Purché, lo ribadiamo, sia buono. È inutile e controproducente proporre cestini con pagnottelle gommose e grissini stantii.

L’attenzione e la ricerca che molti ristoranti dedicano a questo umile accompagnamento del pasto, a torto ritenuto banale, ne dimostra tutte le potenzialità e le svariate possibilità di distinguersi dalla concorrenza.

L’Enoteca Pinchiorri di Firenze è uno dei templi della ristorazione italiana. Non stupisce, dunque, che il pane, qui, riceva un’attenzione degna di un protagonista della tavola. A occuparsene insieme al suo team è lo chef pâtissier Luca Lacalamita, il cui nonno era panettiere. «Abbiamo creato momenti specifici per il servizio del pane, che nel corso degli anni è evoluto - racconta. Si è partiti dal taglio del pane in sala, per poi passare al servizio di pani specifici per ogni portata. Oggi sono cinque i tipi di pane che accompagnano il percorso di degustazione. Si inizia con un pane bianco in stile toscano, insieme agli amuse-bouche. È un pane di grande pezzatura, fatto con farine macinate a pietra che contengono germe di grano e lievito madre. Il percorso fino ai secondi è poi scandito da quattro pani aromatici: di semola 100% Senatore Cappelli; integrale con farina di farro, condito con farro cotto e poi olio al rosmarino “per dare un’idea della Garfagnana”; un altro pane integrale, che definiamo 200%, perché usiamo tutto il grano, in una mescola di tre farine: integrale normale, separata dalla crusca e solo crusca», racconta Lacalamita. Il quarto pane è integrale con farina di segale, prima della cottura ricoperto con farina di mais macinata a pietra che dà una bella crosta rustica. Con i secondi entra in scena la schiacciata aromatizzata, che ben si abbina alle carni. Infine, pani alla frutta con i formaggi. Il pane arriva in tavola appena sfornato o alla giusta temperatura di servizio. «La nostra idea è quella di portare il pane di panetteria al ristorante», racconta Lacalamita. In effetti, il lavoro è a ciclo continuo, proprio come in un laboratorio di panificazione. In totale, vengono sfornati dai 10 ai 13 kg di pane al giorno.

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Anche Claudio Sadler, dell’omonimo ristorante milanese, fa il pane in casa. «Ci costerebbe meno comparlo in panetteria - ammette - ma noi lavoriamo solo la sera, preferiamo farlo fresco e servirlo sempre soffice e croccante. È un valore aggiunto che un ristorante gourmet deve dare». Anche da Sadler il servizio è cambiato con gli anni. «Siamo arrivati a farne fino a nove tipi diversi al giorno, poi ci siamo stancati: noi non siamo panettieri, non è da questo che si deve misurare il valore della nostra cucina. Però, il servizio deve essere adeguato concettualmente al pasto e il pane fatto casa ha un appeal diverso, rappresenta il fatto che diamo cura e attenzione a questo aspetto. Oggi siamo scesi a sei tipi, più i grissini». Anche qui il pane accompagna le varie portate, in quantità “modulate” per evitare che tolga attenzione (e spazio) alle pietanze. «Sono io, chef, che indico qual è il pane migliore da abbinare», dice Sadler. Si comincia con i grissini, si prosegue con due pani sfiziosi (in questo periodo, una focaccina soffice fatta con farina di grano arso, mozzarella e friarelli e una treccia con le olive). Seguono un pane bianco tipo baguette e grissini al sesamo. Infine, una minibaguette a pasta dura, poco condita e neutra, che ben si accompagna a carne e pesce.

Moreno Cedroni de La Madonnina del Pescatore di Senigallia ha fatto una scelta più radicale. Da un paio d’anni ha abbandonato il servizio a più pani per servirne solo uno “di buona crosta”, a lievitazione naturale, fatto in casa con farine macinate a pietra, oltre a grissini di cereali e cracker ai capperi. «Devi centrare il pane che si abbina bene con la tua proposta di cucina, inutile confondere il palato con sapori che cozzano», dice. Alla Madonnina, quando il cliente ha scelto dal menu, arrivano in tavola il pane e l’olio.

Scelta analoga per Marco Sacco, stellato chef patron del Piccolo Lago di Mergozzo (VB). Fino allo scorso anno serviva tre pani - bianco, di segale e semintegrale - in grande pezzatura, perché «mi piace il pane vivo, vero, da spezzare». Da quest’anno, però, ce ne sarà un solo tipo, che varierà ogni mese insieme al menu.  

 

Al Piccolo Lago il pane è servito in tre tempi. Con gli antipasti arrivano cracker e grissini. Con i primi arriva la pagnotta calda presentata su un supporto di granito riscaldato, con burro di montagna. Con secondi e formaggi è la volta delle focacce ripiene di cipolle. «Siamo cuochi e diamo la precedenza ai piatti - conclude Sacco - ma il pane è fondamentale perché è la nascita di tutto». In casa, Sacco fa solo foccacce, grissini e cracker. Il pane oggi preferisce farlo fare da un panettiere di fiducia, Trentin di Padova, con cui ha collaborato per selezionare le farine macinate a pietra, i lieviti e le lievitazioni. «L’ho fatto in casa per vent’anni - racconta -. Oggi, il mondo della  panificazione ha fatto passi da gigante e non c’è più bisogno di farselo da sé». Sacco vede anche un altro vantaggio: «Il laboratorio di panificazione è un ambiente ideale per fare il pane, a cominciare dall’umidità. Al contrario della cucina di un ristorante: anche se c’è una pasticceria separata, non è la stessa cosa».

Forse per questo Davide Oldani nel suo nuovo ristorante, sempre a Cornaredo (Mi), alla panetteria ha dedicato un locale separato dalla cucina. Al D’O il pane è portato in tavola solo coi secondi. «Per non appensantire e rovinare l’equilibrio del pasto», racconta Evelina Rolandi, responsabile della comunicazione. Il pane è preparato due volte al giorno, in due tipi, ai multicereali e bianco.

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Ciccio Sultano, chef patron del Duomo di Ragusa Ibla, ha aperto nella sua città I Banchi, che è ristorante caffetteria, salumeria e panificio con forno.

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Dove preparano pani tipici siciliani come nero di Castelvetrano e bianco ragusano, pane ai cereali e specialità come rustici siciliani, sfincione palermitano, scaccia ragusana, arancini e grissini, pizze e focacce. Adesso, Sultano si rifornisce lì del pane per il Duomo, dove l’assortimento è composto di pane bianco di farina Russello, pane integrale di Perciasacchi e pane di Castelvetrano, grissini all’olio d’oliva. Il cliente trova un cestino sul tavolo, poi il cameriere passa col vassoio a reintegrare.

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