«Il sommelier? Fa guadagnare il ristorante». Parola di Giuseppe Vaccarini

Giuseppe Vaccarini, presidente Aspi, Associazione della sommellerie professionale, racconta il suo punto di vista sul comparto vino italiano. E sottolinea come la figura del sommelier sia indispensabile all’interno della ristorazione moderna

Miglior sommelier del mondo nel 1978, presidente prima dell’Ais e poi dell’Aspi (Associazione della sommellerie professionale di cui è anche fondatore). Docente, divulgatore, mentore di grandi talenti della sommellerie italiana e internazionale. Lui è Giuseppe Vaccarini e a lui abbiamo chiesto come sta, oggi, il vino italiano e, ovviamente, la professione del sommelier.

Giuseppe Vaccarini, dal suo osservatorio qual è oggi la situazione del vino italiano in Italia e nel mondo?

È buona. Non dobbiamo avere timori. Sono ripartiti i consumi all’estero contestualmente alla ripartenza del turismo. Ci sono buoni segnali.

Quindi tutto bene?

Quasi, perché ci sono aspetti che non funzionano al meglio, sia in Italia sia all’estero.

Cominciamo dall’estero. Cosa c’è che non va?

La promozione e i rapporti commerciali in primis. I vini italiani sono presenti all’estero in modo inferiore alle potenzialità e questo è dovuto, a mio modo di vedere, a una promozione non continuativa come, invece, fanno altri Paesi grandi produttori di vini di qualità.

Allude ai “soliti” francesi...

Certo. Prendiamo il Continente asiatico. Lì i vini francesi sono presenti da molto prima di quelli italiani e, nonostante questo, continuano a organizzare eventi e iniziative di presentazione con l’aiuto prezioso e decisivo del Governo francese che supporta al massimo il comparto vinicolo transalpino. Per i nostri vini i Consorzi, le Regioni fanno del loro meglio, ma per me non in modo continuativo e questo non sorregge una visibilità e un mercato che avrebbe bisogno, al contrario, di azioni continue e ben organizzate.

Vuol dire che noi italiani a volte improvvisiamo un po’ troppo anche quando si tratta di promuovere il nostro vino all’estero?

Quando improvvisiamo, noi italiani, lo facciamo anche bene, però non si può basare tutto su quello. Ci vuole professionalità e programmazione oltre alla continuità. Bisogna basarsi su professionisti locali e non contare solo su istituzioni ed enti. Credo ci sia ancora molto da lavorare per sviluppare i mercati stranieri, Asia in testa. Negli Usa il mercato è saturo. Bisogna puntare sulle particolarità dei vini, raccontarne la storia e il territorio e poi avere buoni importatori e distributori. Le premesse per l’Italia ci sono tutte, i vini eccellenti anche. Manca un approccio diverso anche da parte dei produttori.

Cioè?

Ho lavorato per anni in Francia. Lì i produttori parlano bene del loro vicino concorrente. In Italia tutti dicono di fare il vino migliore del mondo. Ecco, la qualità è un concetto che facciamo fatica a spiegare al mondo. Dobbiamo trovare il modo di farlo restando uniti, perché divisi si fa molto meno di quello che si potrebbe realizzare. Poi c’è la questione dell’educazione al gusto. In Inghilterra le produzioni agroalimentari mondiali sono insegnate a scuola. Da noi non accade e i risultati si vedono. Molti italiani sanno pochissimo del made in Italy.

Quindi bisogna puntare sui giovani?

Sì, bisogna puntare sui giovani sia come consumatori sia come sommelier professionisti. Educare i giovani al gusto, magari come materia d’insegnamento nelle scuole, vorrebbe dire renderli consumatori consapevoli, vocati alla qualità e alla moderazione. Sulla professione di sommelier io scrissi anni fa un manuale dove parlavo del sommelier come la professione del domani. Facemmo fare anche una ricerca che confermava il boom della professione nei prossimi vent’anni. Oggi è così. I giovani che vogliono farsi strada nella professione possono farlo a patto, come è giusto, di sacrifici e studio. Dovranno, però, diventare sommelier professionisti e non “appassionati” o “dopolavoristi”.

Sta dicendo che ci sono pochi sommelier professionisti in Italia?

Nella maggior parte dei casi si tratta di non professionisti. I sommelier professionisti in Italia sono grosso modo 1.500, come in Francia. Del resto il primo Paese che ha riconosciuto la validità di avere sommelier professionisti nei ristoranti è stato il Regno Unito perché lì, anni fa, i ristoratori scoprirono che il 50% dei loro introiti proveniva dalle bevande e che un sommelier professionista poteva incrementare quei guadagni. In Italia, al contrario, molti ristoratori e chef rinunciano al sommelier professionista perché lo ritengono una spesa invece che una risorsa. Peccato.

E sul mercato italiano?

Anche se sono sempre di più gli italiani che consumano vini importanti, oltre che quotidiani, vedo ancora poco entusiasmo tra i consumatori nazionali. Il nostro vino é la nostra bandiera e va promosso anche da chi lo consuma. Facciamolo.

Appelli finali?

Al mondo del vino italiano perché trovi quelle sinergie con le istituzioni e anche tra le proprie filiere in modo da promuoversi al meglio sui mercati nazionale ed estero, magari anche organizzando incoming finalizzati ad invitare sui nostri territori del vino coloro che all’estero e anche in Italia il vino lo devono acquistare e proporre. Sarebbe una scelta intelligente.

Ai giovani perché scelgano di diventare sommelier professionisti, impegnandosi a studiare e, magari ad andare all’estero, perché di spazio ce n’è e le soddisfazioni professionali e economiche non mancano.

Al mondo della ristorazione affinché finalmente comprenda che il sommelier deve essere un vero professionista formato a 360 gradi, capace di consigliare i vini, ma anche bevande e distillati, facendosi portatore di quel storytelling che al di là del menù e del calice racconti territori, esperienze, storie, trasmetta la cultura che c’è dietro al vino e ai suoi produttori e anche dietro al cibo. Un esperto completo, un professionista moderno e preparato.

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