La nutraceutica influenzerà anche le cucine dei ristoranti?

nutraceutica
Circa 500 miliardi di dollari. Questo il valore, nel mondo, della nutraceutica, ovvero la disciplina che indaga i componenti e i principi degli alimenti che hanno effetti positivi sulla salute. Un report Mediobanca racconta il mercato

“Nutraceutica” è un neologismo di successo creato nel 1989 dal medico statunitense Stephen DeFelice. Una parola di successo, sulla bocca di molti ma, come accade spesso con gli argomenti scientifici, non sempre ben conosciuta. Il termine “nutraceutica” deriva dall’unione di “nutrizione” e “farmaceutica”, e indica quei nutrienti che si trovano normalmente all’interno degli alimenti e così salutari da poter essere paragonati a dei farmaci. 

Un vero successo economico

Il successo della nutraceutica non è solo linguistico ma anche economico. Così imponente da meritare l’attenzione dell’Area Studi Mediobanca, ora culminata in un report secondo il quale oggi, nel mondo, la nutraceutica vale circa 500 miliardi di dollari (4,8 dei quali in Italia), che entro il 2027 supereranno i 700. 

La famiglia degli alimenti nutraceutici è costituita in larga parte dai cibi funzionali, e anche quest’espressione è recente: è comparsa per la prima volta nel 1993 all’interno dell’articolo “Japan explores the boundary between food and medicine” pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature. Fu infatti proprio in Giappone che, in quegli anni, si cominciò a studiare il rapporto tra la longevità di molti abitanti e la loro dieta a base di pesce e riso. 

La normalità dei funzionali

I cibi funzionali sono alimenti normali, come frutta fresca e secca, verdure, legumi, pesce, yogurt, latte, olio extravergine d’oliva e uova, che hanno preso l’appellativo di “funzionali” perché, oltre alle loro proprietà nutrizionali, hanno dimostrato di influire positivamente su una o più funzioni fisiologiche migliorando la salute di chi li assume e riducendo il rischio di incorrere in alcune patologie. I cibi funzionali sono solamente cibi, e non assumono mai l’aspetto di pillole, capsule, bustine solubili o fiale. 

Pur rimanendo sostanze naturali, però, possono subire trattamenti tecnologici che modificano la loro composizione, divenendo “cibi funzionali modificati”, a loro volta distinti in cibi “rich in” (o arricchiti) ), nei quali vengono aggiunti componenti; cibi “free from”, privati di componenti,  e cibi “fortificati”, nei quali viene incrementata la concentrazione di nutrienti già presenti nella loro composizione. 

Vitamine, minerali, proteine...

Le sostanze più frequentemente utilizzate per arricchire i cibi funzionali modificati sono vitamine, minerali (calcio, iodio, ferro, fluoro, magnesio, sodio, zinco, ecc.), proteine, acidi grassi polinsaturi (Omega-3, Omega-6 e Omega-9), acido folico, bioflavonoidi, carnitina, creatina, carotenoidi (tra cui il licopene), maltodestrine, fitosteroli, probiotici, prebiotici, fibre. 

Per quanto riguarda i “free from”, le sostanze più comunemente rimosse sono gli zuccheri, i grassi, il glutine e gli  allergeni. 

All’insieme dei cibi funzionali, sono assimilabili anche gli alimenti per l’infanzia, impiegati fino ai tre anni di vita per sostituire e integrare il latte materno e perfezionare lo svezzamento. Sono i latti artificiali, i biscotti solubili, gli omogeneizzati e le purea di frutta. Anche i cibi vegan possono essere considerati una categoria del free from.

Il loro mercato a livello mondiale, oggi è dominato dai prodotti alternativi al latte (80% dei consumi), mentre quello dei sostituti della carne rappresenta ancora un poco significativo 1%. 

il valore del mercato

La dimensione mondiale del mercato dei cibi funzionali è stimata a fine 2021 in circa 500 miliardi di dollari, con aspettative di crescita a un tasso medio annuo al 6,9% che porterebbe il comparto a 750 miliardi nel 2027. La categoria più consistente è quella dei cibi per il controllo del peso (slimming o weight management), pari a 214 miliardi di dollari, con previsione di sviluppo al 6% medio annuo, seguita dagli integratori che valgono a livello globale 140 miliardi (+7,7% le attese). I baby food arrivano a 73 miliardi (+6,5%), ma sono le specialità vegan (25 miliardi, +9%) a mostrare le attese più rosee. 

Integratori alimentari

Anche gli integratori alimentari fanno parte della famiglia dei nutraceutici, ma devono essere distinti dai cibi funzionali perché non fanno parte dell’ordinaria dieta quotidiana né  hanno l’aspetto di cibi naturali ma di capsule, pastiglie, compresse, pillole, polveri in barattoli o in bustine, liquidi in fiale.

L’Unione Europea li ha definiti “prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, sono aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate”.

Secondo il Censis, sono circa 32 milioni gli italiani che fanno uso di integratori (il 54% della popolazione), donne per il 60,5% e maschi per il 39,5%. La fascia di età più interessata è tra i 35 e i 64 anni (62,8% del totale). Seguono i giovani tra 18 e 34 anni (20,3%) e gli over 65 (16,9%). Il 58,4% degli utilizzatori è abituale. In altri Paesi le cifre sono molto più modeste. 

Carni da laboratorio

Una frontiera a parte, non sovrapponibile a quella di derivazione vegana, riguarda la carne prodotta in laboratorio a partire da cellule animali. Nel 2013, all’Università di Maastricht venne prodotto il primo hamburger di laboratorio a partire dalle cellule staminali prelevate da una mucca viva, a un costo di 250mila euro. Oggi, nel settore operano circa cento start up che nel 2020 hanno raccolto capitali per 370 milioni di dollari, sei volte l’ammontare raccolto nel 2019. 

Al di là delle questioni etiche, lo sviluppo della carne sintetica consentirebbe una riduzione dello sfruttamento della terra (95% in meno rispetto all’allevamento), l’abbattimento delle emissioni di gas serra (fino all’87% in meno) e un forte risparmio d’acqua. Inoltre, con la produzione di carne in laboratori locali, si ridurrebbe anche la necessità di trasportare animali e carni macellate, con ulteriori benefici per l’ambiente. 

Clean meat

Per questo si parla anche di “clean meat”. Quanto al consumatore, verrebbe protetto dall’assunzione di antibiotici, ormoni gli steroidi con i quali gli animali vivi sono trattati o dalla trasmissione di forme batteriche o virali dall’animale all’uomo (zoonosi). 

Attualmente, solo Singapore ha regolato la vendita di carne da laboratorio. La Food and Drug Administration statunitense era orientata a rilasciare analoga autorizzazione nel 2020, ma l’iter è stato rimandato a causa della pandemia. In Europa la strada appare più lunga, sia per considerazioni di ordine etico (benché sia sostanzialmente “cruelty free”), sia per la naturale resistenza delle associazioni di produttori di carne macellata.  

In ogni caso, però, è il costo di produzione a restare un tema molto critico. Oggi, l’obiettivo è arrivare a 20 dollari per chilogrammo e nel 2030 si dovrebbe raggiungere la parità di quotazione con la carne convenzionale. 

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