Nella comunicazione del vino ci sono molti linguaggi possibili: pubblicità, degustazioni, fiere e quant’altro. Spesso però l’unico mezzo di collegamento tra azienda e consumatore è l’etichetta. Lì sono raccolte le informazioni, a volte base a volte più ricche, che ruotano attorno a un bianco o a un rosso. Si tratta di nozioni essenziali che puntano molto sul concreto (zona di produzione, uve utilizzate, consigli di abbinamento) e poco sull’emozionalità. E un’etichetta di carta, per quanto ben disegnata, rimane di frequente un bel gesto grafico destinato a durare poco nella memoria del cliente.
Di carta appunto. Ma se alla carta si sostituisse il metallo oppure materie plastiche o tessuti? Se alla bidimensionalità (l’etichetta incollata) si sostituisse la tridimensionalità? O se si spezzasse, per dare nuova forma, il classico rettangolo di carta che dà vita alle etichette cui tutti siamo abituati?
Le risposte a queste domande sono arrivate durante una bella mostra tenutasi a Milano lo scorso marzo, “Before market, molteplicità del linguaggio nel design dell’etichetta” era il titolo, dove il designer Raimondo Sandri ha dimostrato cosa accadrebbe se si dessero risposte alle questioni appena poste. Ecco allora Sandri trasformare stoffe, plastiche, fili di ferro, lamine di metallo in mezzi di comunicazione del vino. E non per un puro esercizio stilistico perché le idee di Sandri hanno colpito nel segno: sono creazioni che sanno raccontare storie enologiche e produttive già a prima vista. «Nel pensare queste etichette - dice il designer - non mi sono posto limiti per quanto riguarda i materiali o gli ambiti di ispirazione. La moda, il design, l’architettura sono così diventate fonti di idee attraverso cui raccontare sulla bottiglia il lavoro delle cantine. Ed è proprio questo il punto fermo: in ogni caso l’etichetta deve svolgere il suo lavoro. Io ho aggiunto sensazioni con materiali e forme nuove».
Ma sono etichette che si possono davvero usare per una produzione in serie? «Alcune sì, altre no - dice Sandri -. Alcune sono troppo complesse per poterne prevedere una produzione su larga scala, ma possono diventare un tocco finale e inconfondibile per produzioni limitate. Altre invece sono più canoniche e pur nella loro complessità, e tramite alcuni accorgimenti tecnologici, sono riproducibili su grandi numeri».